Alla figura di Francesco Baracca, asso dell’aviazione della Prima guerra mondiale e morto durante una battaglia aerea è ispirata l’opera in 3 atti “L’aviatore Dro” di Francesco Balilla Pratella. L’opera composta nel 1915 e rappresentata nel 1920 è immersa in un’atmosfera decadente e vagamente impressionista; il futurismo più dichiarato che realizzato nella composizione si riduce soprattutto all’impiego dell’intonarumori, (strumento inventato dall’artista futurista Luigi Russolo) nell’ultimo atto dell’opera per riprodurre il suono dell’aereo plano. L'eroe lughese ispirò nell'immediato dopoguerra diverse ballate popolari che ne cantavano le gesta e diffusero il mito del grande aviatore. Nel 1982 è Sergio Endrigo che nell'album "Nei Mari del Sud" introduce un testo, Francesco Baracca, il testo, che descrive le gesta e gli ultimi istanti di vita del noto aviatore romagnolo, abbattuto da un colpo proveniente da terra (a questo proposito esistono diverse contrastanti versioni) e quindi eroe immacolato dei cieli: “... ma un colpo basso della fanteria, e già perdeva quota la sua vita, un fuoco d'artificio, una cometa, come un uccello ferito che cadendo, diventa solo piume e vento...”. La visione poetica del testo descrive l'aviatore mentre si alzava nel cielo “come un allegro valzer romagnolo, e di lassù la terra si mostrava, come una donna felice gli si apriva”. Poesia ispirata e inusuale nel panorama della canzone italiana. Nel 2001, Francesco De Gregori registra un testo scritto da Guglielmetti e Arianti nell'album "Amori nel Pomeriggio", SPAD VII S2489", un bel rock serrato, alla Dire Straits. Espone il cinico punto di vista del pilota di guerra, per cui "La terra era una parentesi tra una partenza e l'altra... quasi un'inutile perdita di tempo per cose di poca importanza". Quanto è lontano il romantico "Pilota di Guerra" ispirato a Saint-Exupéry, quello che "sparge sale sulle ferite delle città".

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Sergio Endrigo

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Testo tratto da: Antonio De Rosa, Un Aeroplano in Volo tra le Note, Rivista Aeronautica, 2013

L'AVIATORE DI DRO- RECENSIONE
Da: Repubblica, 3 gennaio 1996

Tutti la conoscono, per nome. Pochi l' hanno studiata. Nessuno l' ha vista in scena. L' opera più citata del futurismo musicale, L' aviatore Dro di Francesco Balilla Pratella, è una sorta di titolo virtuale. La sua autentica natura teatrale è rimasta congelata nel ricordo dei pochi fortunati che presenziarono alla prima rappresentazione, il 4 settembre 1920 al Teatro Rossini di Lugo. Dopo settant' anni di silenzio il ' poema tragico' in tre atti L' aviatore Dro riconquista il palcoscenico per merito della città che diede nel 1880 i natali al compositore futurista e del Teatro Alighieri di Ravenna. Per quattro rappresentazioni (oggi, 5, 6 e 7 gennaio) sarà al Teatro Rossini, al centro di un minifestival dedicato al musicista scomparso a Ravenna quarant' anni fa ove fu per molti anni direttore del Civico liceo musicale, dopo aver emendato il ventennio di salutari ardori futuristi con un prezioso e metodico lavoro di raccolta e catalogazione del repertorio popolare romagnolo. Due mostre: Lo studio di Francesco Balilla Pratella, ' Segnali futuristi in Romagna' , a cura di Aldo Savini a casa Rossini, e l' esposizione documentaria ospitata alle Pescherie della Rocca curata dalla Fondazione Russolo-Pratella di Varese, oltre a una ghiotta serata concertistica in cui verranno eseguite le sue Canzoni del niente accostate a musiche vocali di Savinio. L' operazione delicata di ricupero della partitura di Pratella, ricca di didascalie extramusicali e di avveniristiche prescrizioni rappresentative, attenta a una drammaticità sganciata dai modelli operistici ottocenteschi cui, invece, la trama a triangolo amoroso parrebbe alludere, è stata affidata a due interpreti altrettanto controcorrente: il direttore Gianandrea Gavazzeni e Sylvano Bussotti nelle vesti di regista, scenografo e costumista. Le danze sono firmate da Anna Catalano, gli interpreti vocali principali sono Denia Mazzola, Claudio Di Segni e Alessandro Patalini. Gavazzeni, che Pratella ("poetico ideatore, senza scampo", come scrive Bussotti) conobbe personalmente nel 1940, affronta l' ennesimo debutto della sua inarrestabile carriera direttoriale con la coscienza dello studioso curioso, anche lui senza scampo. "Sono stato subito favorevolmente colpito dalla partitura, che ebbi modo di analizzare quando Sonzogno la pubblicò nel 1915", ricorda prima di metterne a fuoco il singolare valore: "In quest' opera che è passata alla storia come la prima e unica futurista, di futurista non c' è quasi nulla tranne l' uso dell' intuonarumori, lo strumento inventato da Russolo. Direi che è l' ascendenza della musica francese l' elemento più rilevante soprattutto nella stesura orchestrale, mentre l' uso della vocalità richiama piuttosto il teatro espressionista tedesco dell' immediato dopoguerra, che Pratella non poteva certo aver conosciuto. La ritmica e i cambi di tempo rimandano allo Stravinskij del Sacre mentre nelle parti corali Pratella si riallaccia direttamente alla tradizione del canto popolare romagnolo. Queste curiose mescolanze rendono così affascinante l' opera: alla soglia del Duemila ai nostri occhi e alle nostre orecchie L' aviatore Dro apparirà come una novità". di ANGELO FOLETTO

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LA BALLATA DI FRANCESCO BARACCA
Corrado Caselli

Di Baracca orribil morte ora vado a raccontare certamente crudele sua sorte tutti voi lacrimare farà. Per scampar sua tremenda mitraglia il nemico ogni ora fuggiva Dominava il bel cielo d’Italia sul suo petto medaglia brillò 34 nemici abbatteva diede morte all’austriaco invasor. Sul Montello s’alzò quella sera fosche nubi gli stavano intorno più l’aereo non fece ritorno ceco Beppe il suo cuore esultò. La sua mamma lontana pregava o signore difendi mio figlio Il nemico da terra sparava e terribile un colpo lo colse Egli cadde l’aereo bruciava e tuo figlio sparse in terra il suo sangue vermiglio. Figlio mio ti hanno ammazzato Il mio cuore sanguinò L’orologio s’è fermato e per sempre quell’ora segnò. di Baracca il feroce destino tutta Italia compianse quel giorno La Romagna rivolle cecchino E da morto vi fece ritorno. Sul suo petto medaglia brillò con sua gente per sempre restò Sul suo petto medaglia brillò con sua gente per sempre restò

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FRANCESCO BARACCA - MARI DEL SUD
1981 di Sergio Endrigo

Era un antico mattino italiano Con le mosche, i papaveri, il grano Sembravano dipinti i contadini Il sole, il Po e gli eroici destini Luglio millenovecentoqualcosa E all’improvviso dalla piana rugiadosa Come l’acuto del tenore si stacca L’aeroplano di Francesco Baracca Vibrava forte l’uccello di tela Leggero e fragile, una vela E si alzava a spirale in volo Come un allegro valzer romagnolo E di lassù la terra si mostrava Come una donna felice gli si apriva Senza timore e senza ritrosia Scopriva la sua dolce geometria E c’era Rimini, c’era Riccione E in fondo il Sud, inesplorato meridione E al Nord il rombo del cannone Devastante come l’alluvione E gli entrò nell’anima e nella mente Quella sua Italia bella ed incosciente E soffrì di gelosia, guai a toccarla guai A portarla via E volò giù a giocare con la sorte La gioventù non ha paura della morte Non fu un duello, non ci fu cavalleria Ma un colpo basso della fanteria E già perdeva quota la sua vita Un fuoco d’artificio, una cometa Come un uccello ferito che cadendo Diventa solo piume e vento E poi silenzio Dice il poeta che morendo La vita intera si rivede in un momento I giochi, le speranze ,le paure I volti amati, gli amici, le avventure Luglio millenovecentodiciotto C’era un uomo che perdeva tutto E l’Italia agraria e proletaria Conquistava il primo asso dell’aria Come un uccello ferito che cadendo Diventa solo piume e vento E poi silenzio

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SPAD VII S2489
1981 di Francesco De Gregori

Una bestia di fuoco e velocità, cinque quintali di pura bellezza Un angelo giallo come un lampo e improvviso come una faina Eravamo una macchina sola e io pensavo ed era cosa fatta Nessuno ci stava dietro, senza peso e senza ingombro Senza peso, senza ingombro, solo pensiero veloce A terra si vedevano solo bocche spalancate, i bambini di Lugo ci segnavano a dito Le donne si innamoravano dell'aeroplano e del mio coraggio Ed era solo volontà di precisione, la guerra, solo l'occasione E i nemici quasi complici di questa volontà Complici e gregari della nostra temerarietà La terra è una parentesi tra una partenza e l'altra, quasi un'inutile perdita di tempo Per cose di poca importanza Di lassù c'è un'altra vista del mondo, un altro panorama della vita Non avremmo potuto invecchiare mai Non dovevamo invecchiare mai Perché non eravamo nati per invecchiare mai La terra è una parentesi tra una partenza e l'altra, quasi un'inutile perdita di tempo Per cose di poca importanza Ecco una bestia di fuoco e aerodinamicità Ecco cinque quintali di vera bellezza

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L'ULTIMO VOLO
2011 di Sergio Bassi & P.R.B.

Giocherellava seduto in cabina l’attesa gli rombava tra le mani L’aria ribolliva nei polmoni, era un pilota, un vero pilota Le curve catturate al volo Il sorriso timido, un campione Nell’incoscienza la forza del domani, credeva nei sogni e nel destino Tutto adesso era tinto di chiaro non aveva più dubbi o esitazioni La strada presa era segnata come lo era Teresa, nella sua vita Le ali, vele spiegate pronte a scoprire estreme emozioni estreme emozioni Il blu nel sangue, il cielo addosso La parola amore stretta nella lingua Gridava ti amo, ti amo tanto, ma la parola dalle labbra non usciva Il blu nel sangue, il cielo addosso Tutta una vita in distante tra occhiali e casco non posso andare fammi restare dei giorni con Teresa voglio passare, voglio passare Era anni di grandi conquiste, di ideali ed eroi da imitare La divisa, stampata sulla pelle, che era un pilota, un vero pilota L’orgoglio di essere il migliore Il sorriso timido, un leone Il silenzio mandava il sole in mille pezzi, dov’era il fuoco che lo riscaldava Il cuore batteva ancora dentro il petto Il tempo si prendeva tutto il tempo La strada presa era segnata, come lo era Teresa, nella sua vita Le ali, vele spiegate pronte a scoprire estreme emozioni, estreme emozioni Il blu nel sangue il cielo addosso la parola amore stretta nella lingua gridava ti amo, ti amo tanto, ma la parola dalle labbra non usciva Il blu nel sangue, il cielo addosso Tutta una vita in distante tra occhiali e casco Non posso andare, fammi restare I giorni con Teresa voglio passare voglio passare

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LITVYAK
Gian Pietro Milanetti, Album: Lytviak, 2015

Bionda come una diva nel caschetto di pelle con quell’aria un po' schiva ed il cuore ribelle sulle ali due stelle rosse come l’amore per la Russa artigliata da una croce uncinata figlia di ferroviere in quegli anni di guerra scelse come mestiere di staccare da terra la sua ombra e i pensieri il coraggio di donna di chi cerca l’onore prima ancor che l’amore Litvyak che grande pilota asso di cuori vola più in alto nei cieli insieme agli eroi Nei duelli nell’aria esce sempre vincente Litvyak la temeraria dallo sguardo ammaliante Ed un giglio ha dipinto sopra la fusoliera sul cruscotto ha la foto del suo Sasha abbattuto Ma un nemico in agguato come un falco alla posta un pilota premiato con la croce nazista non appena l’ha vista piomba svelto in picchiata Lidia Litvyak è colpita l’eroina è braccata Giglio di Stalingrado asso di fiori vola in alto nei cieli insieme agli eroi Da quel volo fatale non è più ritornata e c’è chi dice male che si sia consegnata e che poi si è sposata e ha cambiato cognome o che sia seppellita senza croce ne nome Ma a me piace pensare che non sia mai caduta e continui a volare sulla steppa infinita con le amiche aviatrici abbattute in volo sempre giovane e bella bionda più di una stella Litvyak che grande pilota asso di cuori vola più in alto nei cieli insieme agli eroi Giglio di Stalingrado asso di fiori vola farfalla di guerra insieme agli eroi

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