«Inferocito», così, Cesare Pavese, definisce un mitragliamento:
«Notti dopo Torino tornò in fiamme. Durò più di un’ora. Ci pareva di
avere sul capo i motori e gli scoppi. Caddero bombe anche in collina enel Po. Un apparecchio mitragliò inferocito una batteria antiaerea, si
seppe l’indomani che
diversi tedeschi erano morti».
In Se non ora, quando? di Primo Levi, l’aereo diventa luogo di
solidarietà tra militari; il primo capitolo racconta l’incontro di due
soldati ebrei, Mendel e Leonid, dispersi in Russia; i soldati trovano un
caccia tedesco abbattuto, un bimotore Heinkel, senza ali, inclinato su
un fianco:
È la nostra buona stella, – disse Mendel: – Che cosa vorresti di meglio
per un bivacco? Almeno per qualche giorno? Prima era lui il padrone
del cielo,
adesso i suoi padroni siamo noi.
Il bimotore ha già un abitante, un soldato della Luftwaffe; i tre
militi, presi dalla stanchezza, dalla paura e dal «ribrezzo» delle armi, si
intendono subito, abbandonano ogni diffidenza e fanno dell’aereo la
loro casa provvisoria.
Terminata la seconda guerra mondiale, narratori e poeti ricordano;
tra i tedeschi, Günter Grass e Kurt Vonnegut, negli anni Sessanta del
Novecento, rievocano lo spavento dei terribili bombardamenti.
Atmosfere, personaggi, tono del narrare oscillano tra realismo e
allucinazione. In Vonnegut di Mattatoio N. 5, lo stile telegrafico,
spoglio, paradossale e la scelta di un genere vicino alla fantascienza,
concorrono a decantare l’emotività di chi narra, spettatore del
bombardamento di Dresda, ma investono la storia di una drammaticità
irrisolta e irrisolvibile nonostante certe trovate terapeutiche. Entro una fantasia allucinata, l’aereo non ha nulla di eroico, è solo uno strumento
funzionale all’azione necessaria in quel momento,
altrettanto vale per l’uomo.
Tra incredulità e paura, uno dei protagonisti di Anni di cani,
romanzo di Günter Grass, racconta il bombardamento di Danzica: lo
scrittore era ancora studente quando vide aerei in picchiata cominciare
la loro esibizione e una nuvola di fumo lo convinse
che non stavano
giocando..
Di certo, in guerra, la morte, lungi dall’essere una remota possibilità,
appare probabile, ma anche in aereo l’uomo avverte chiaro il senso della
fatalità del morire. Nell’era contemporanea, in cui si fa di tutto per non
pensare alla morte e per escluderla dalla quotidianità, essa si riaffaccia
dunque laddove, si pensi appunto all’aeroplano, ingegno, tecnica e
coraggio sembrano neutralizzarla nell’euforia della raggiunta
realizzazione. Lo si spiega con lo stato innaturale nel quale l’uomo si
trova durante il volo: egli è lontano dalla terra, suo spazio usuale; è
inoltre viaggiatore inattivo e la sua vita è affidata a un calcolo, a una
macchina o a un altro essere, il pilota, il quale, a sua volta, è in balia degli
strumenti che manovra e delle condizioni atmosferiche.
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Testo di: Anna Bellio, Voli di Sogno nella letteratura italiana del novecento, I.S.U. Università Cattolica, 2007