Fra i miti che nella letteratura occidentale attestano il fascino del volo il più diffuso e fortunato è quello di Icaro, rivisitato fino ai giorni nostri. Narra Ovidio che Dedalo, ideatore a Creta del labirinto nel quale sarà rinchiuso da Minosse, per salvare se stesso e il figlio dalla prigionia, non avendo altra strada, tenta la via del cielo e progetta un ingegnoso sistema per volare: raccoglie delle penne, le dispone una accanto all’altra cominciando dalle più piccole fino alle più grandi, le unisce quindi nel mezzo con dello spago e con cera alla base; quando sono ben salde le piega per imitare al meglio le ali degli uccelli. Le prova su di sé: le batte, rimane in aria, crede quindi nella riuscita dell’impresa e, dopo accorte e sapienti raccomandazioni al giovane figlio, le accomoda sulle spalle di Icaro. Gli fa da guida nel volo.

È bene essere cauti, mantenersi a mezza altezza, non volare troppo in basso perché le ali potrebbero bagnarsi nell’acqua del mare e diventare troppo pesanti a rischio della vita, non si deve neppure salire eccessivamente perché il sole potrebbe sciogliere la cera. Ma la baldanza giovanile è ben diversa dalla prudenza paterna e Icaro, sempre più audace, si lascia vincere dall’ebbrezza dell’infinito, sale e sale fino a che il sole squaglia la cera, allora, con un grido strozzato dalle onde nelle quali precipita, termina la sua breve avventura.

Il mito offre diverse prospettive d’interpretazione; rasserenatasi, in chi lo apprende, la commozione per l’infelice destino di Icaro, è possibile un attento esame della leggenda, che celebra l’ingegno non disgiunto dalla creatività e dall’abilità tecnica, il coraggio non privo di cautela, il rischio non sordo all’equilibrio e alla moderazione. Se nella memoria e nella storia della letteratura e dell’iconografia Icaro è sopravvissuto a oscurare il padre e l’immaginazione ha costruito sulla tragedia le sue metafore, ciò è segno dell’incredulità più o meno inconscia dell’uomo di fronte alle sue stesse conquiste e vittorie, del ricorrente affiorare in lui dell’insicurezza e del senso d’impotenza. Il mito classico è comunque ordito in modo da ottenere quest’effetto; è infatti punita l’audacia irriflessiva, indisciplinata e priva di autocontrollo.

La leggenda antica propone infatti l’ideale della via di mezzo, norma, nell’età di Ovidio, non solo artistica, ma valida nelle circostanze della vita che richiedono moderazione ed equilibrio.

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Brescia
8-20 settembre 1909

Icaro

Dedalo

Ovidio

Minosse

Scuola Specialisti A.M.

Video: Sonetto, di Giuseppe Parini. Voce di Domenico Paparella, introduzione di Angiolino Bellè.
Dallo spettacolo Volare, Bovolone, febbraio 2017

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Testo di: Anna Bellio, Voli di Sogno nella letteratura italiana del novecento, I.S.U. Università Cattolica, 2007

CIRCUITO AEREO DI BRESCIA 1909

Il circuito internazionale, prima gara aerea d’Italia e seconda in Europa riservato a "aeronavi, dirigibili e macchine volanti", si svolse a Brescia dal 5 al 20 settembre 1909. Si iscrissero (ma non tutti parteciparono) 14 aviatori, otto dei quali italiani, cinque francesi e un americano. Fra gli stranieri figuravano due nomi di grande spicco: Louis Blériot e Glenn Curtiss, il primo presente con due suoi monoplani e il secondo con un suo biplano. Nel gruppo degli italiani primeggiava Mario Calderara, allievo prediletto di Wilbur Wright che qualche mese prima, a Centocelle, gli aveva insegnato a volare. E poi c’erano Alessandro Anzani e Umberto Cagno, tutti e due con biplani Voisin costruiti su licenza in Italia dall’Avis (che concorreva anche in proprio come società con un altro biplano), Leonino Da Zara con un monoplano Miller (una curiosa macchina costruita a Torino da Franz Miller, e con grandi ali ricurve che ricordavano quelle di un gabbiano), nonché tre costruttori piloti: Mario Cobianchi, Mario Faccioli e Guido Moncher. Cobianchi arrivò con un biplano costruito a Torino da Miller che, come il monoplano di Da Zara, si presentava piuttosto curiosamente con l’ala superiore ricurva verso il basso per aumentare (così si pensava allora) la stabilità del velivolo. Nella rappresentanza francese figuravano ancora un monoplano Blériot (quello di Alfred Leblanc), un biplano Voisin pilotato da Henri Rougier e un dirigibile, lo Zodiac III, orgogliosamente presentato e pilotato dal conte Henri de La Vaulx, uno degli animatori dell’Aéro Club de France. Secondo Gregory Alegi, Brescia fu coraggiosa nel decidere di avviare il Circuito, approvato il 12 dicembre 1908 dal consiglio comunale di Brescia «da tenersi nel 1909 con premi di 50.000 lire». In Italia le premesse non erano entusiasmanti ma il Circuito si inserì in un frizzante contesto culturale: per esempio i più grandi letterati del tempo, tra cui Salgari, Pascoli, Buzzi e Robida, si interessarono al tema, che provocò anche numerosi dibattiti militari e la nascita di diverse associazioni. Anche d’Annunzio vola per la prima volta, alla presenza del re e della regina, e di numerose personalità accorse da ogni parte d’Europa, tra una folla di 50.000 spettatori, dapprima senza fortuna con l’americano Curtiss e poi con l’italiano Calderara. Ha anche modo di intrattenersi a lungo con Blériot e altri assi del volo e rilascia un’intervista che Luigi Barzini pubblica nel "Corriere della Sera" l’11 settembre: "E’ una cosa divina. Non penso che a volare ancora". Franz Kafka, accorso alla manifestazione, ne scrive a lungo. Il circuito aereo si svolse nella brughiera di Montichiari e si inserì in una serie di manifestazioni che nell'anno 1909 pose il capoluogo lombardo al centro dell'attenzione per la scienza e la tecnologia, come la Esposizione Internazionale di Elettricità.

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ICARO

Mitico figlio di Dedalo e di Naucrate, schiava di Minosse. Rinchiuso con il padre nel labirinto di Creta, fuggì volando con le ali che Dedalo aveva adattato con la cera al proprio corpo e a quello del figlio. Ma, avvicinatosi troppo al Sole, la cera si sciolse e Icaro cadde nel mare che da lui fu detto Icario. Secondo un’altra versione, Dedalo era fuggito da Atene, dopo aver ucciso per gelosia d’arte il nipote Talo, e Icaro, anch’egli bandito, si mise alla sua ricerca, ma fece naufragio presso Samo (e il mare prese nome da lui) e il suo corpo, rigettato sulla spiaggia dell’isola di Icaria, fu sotterrato da Eracle. Icaro talvolta è detto inventore dei lavori in legno. (www.treccani.it)

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DEDALO

Dedalo, era nato ad Atene ed era pronipote di Eretteo, re della città. Si dedicò alla scultura e all'architettura, era abilissimo in ciò che faceva; si narra che le sue statue sembravano vive a tal punto da raccontare che esse aprivano gli occhi e si muovevano. A Dedalo sono attribuite le invenzioni dell'ascia, la sega, il trapano, il passo della vite, l'archipenzolo. E' stato maestro di suo nipote Talo, figlio di una sua sorella, che uccise per gelosia quando Talo superò il maestro nella sua arte. L'Areopago, il tribunale, lo condannò all'esilio perpetuo; Dedalo si rifugiò a Creta dove fu accolto benevolmente dal re Minosse che gli commissionò il Labirinto per rinchiudere il Minotauro. A Dedalo, si rivolse Arianna, la figlia di Minosse, per sapere come aiutare Teseo a uccidere il Minotauro e uscire dal Labirinto, e come sappiamo il consiglio del filo riuscì a far trinofare Teseo nell'impresa. Quando Minosse venne a sapere che ad aiutare sua figlia e Teseo fu Dedalo, e non potendo prendersela con la figlia fuggita insieme all'eroe, pensò di punire Dedalo, rinchiudendolo insieme al figlio, Icaro, nel Labirinto, che egli stesso aveva progettato. L'unico modo per uscire dal Labirinto era evadere volando; ingegnoso come era, Dedalo costruì due paia di ali, uno per sè e l'altro per il figlio. Si raccomandò con Icaro di restargli sempre dietro durante il volo, di non strafare e soprattutto di stare attento a non avvicinarsi troppo ai raggi del sole perchè, le ali, attaccate alle spalle con della cera, potevano staccarsi in quanto il calore avrebbe sciolto la cera. Come non detto, Icaro durante il volo, provando piacere si allontanò dal padre e raggiunse i raggi del sole che sciolsero la cera e lo fecero precipitare nel mare, dove morì. Dedalo triste e desolato, atterrò in Campania a Cuma, dove costruì un tempio al dio Apollo, consegnando le ali che aveva inventato per evadere dal Labirinto di Creta.

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PUBLIO OVIDIO NASONE 43 a.c. - 17 d.c.

Demoni greci della vendetta Poeta latino venuto giovanissimo a Roma, vi studiò retorica, ma passò presto alla poesia. Fu a contatto con i maggiori letterati e poeti del suo tempo, come Messalla, Cornelio Gallo, Properzio, Orazio, e frequentò la corte di Augusto, conducendo vita brillante. Esercitò magistrature minori, dopo un viaggio d'istruzione in Grecia, Egitto e Asia, e una permanenza in Sicilia; a Roma, in pochi anni, contrasse tre matrimonî, dei quali solo il terzo fu lungo e felice. Nel frattempo, già dai primi anni, nel circolo di Messalla, aveva composto una tragedia, Medea, assai lodata nell'antichità, e aveva cominciato a comporre un canzoniere amoroso in distici elegiaci, che pubblicò nel 14 a. C. in cinque libri e poi, rimaneggiato in tre libri, pochi anni dopo: gli Amores. A questa raccolta di poesie leggere e galanti seguirono le Heroides (titolo originale, forse, Epistulae), fittizie lettere scritte da eroine celebri della mitologia ai loro amanti, probabilmente rimaneggiate ed edite più volte, e l'Ars amatoria, pubblicata in due riprese nei primi anni dell'era volgare. Con quest'ultima Ovidio diventò il beniamino di tutta la società raffinata di Roma. Come completamento dell'Ars, seguirono poi i Remedia amoris e il De medicamine faciei (carme in distici sui cosmetici, di cui ci resta un centinaio di versi). Intorno al 3 d. C. Ovidio si dedicò alla composizione di opere di più vasto respiro: le Metamorfosi e i Fasti. La prima, composta in esametri, è un vasto poema in quindici libri, nel quale si narrano favole eziologiche e miti (che hanno come conclusione la metamorfosi dei protagonisti). Nei Fasti, che si ispirano agli Aitia di Callimaco, il poeta voleva illustrare in distici elegiaci, in dodici libri, uno per ogni mese dell'anno, e cantare in ordine l'origine e i miti legati alle feste del calendario romano, ma il poema fu interrotto al libro 6° perché Ovidio, nell'8 d. C. fu colpito da un durissimo decreto di Augusto, che gli imponeva di lasciare Roma e lo relegava a Tomi (che si è identificata con l'odierna Costanza), nella Scizia. Le cause dell'esilio di Ovidio non sono chiare; carmen et error, secondo le parole di Ovidio stesso nel 2° libro dei Tristia, cioè l'Ars amatoria da un lato, e, probabilmente, l'essersi trovato implicato (involontariamente, secondo varie affermazioni del poeta) in qualche scandalo di corte, dai moderni per lo più identificato con l'adulterio di Giulia, nipote di Augusto, esiliata nello stesso anno, e D. Giunio Silano. A Tomi Ovidio rimase fino alla morte, non avendo ottenuto neppure da Tiberio la revoca del decreto. In viaggio verso l'esilio compose il poemetto Ibis, contro un detrattore, e i due primi libri dei Tristia (elegie), seguiti nel 12 d. C. da altri tre; in esilio scrisse le Epistulae ex Ponto di cui pubblicò tre libri insieme ai Tristia, elegie in forma epistolare, dedicate ognuna a un amico a Roma (il 4° libro delle Epistulae ex Ponto fu pubblicato postumo), un poemetto sulla pesca, Halieutica, e un carme celebrante Augusto, Livia e Tiberio in lingua getica. Di Ovidio sono andati perduti solo carmi minori e la tragedia Medea. Poeta non profondo, verseggiatore abile di straordinaria facilità espressiva e fluidità, immaginazione fervida e intelligente temperamento di narratore, di colorista e di psicologo, Ovidio è una personalità dominante nella cultura latina, e il suo influsso si perpetua potente nel Medioevo, nell'Umanesimo, nel Rinascimento; solo in età moderna la sua fama è stata alquanto ridimensionata.

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MINOSSE

figlio di Zeus e di Europa, aveva per fratelli Radamanto e Sarpedone. La madre dopo essere stata abbandonata da Zeus sposò Asterio re di Creta e alla sua morte, Minosse pretese la successione al trono e, per provarne la legittimità, disse che gli dèi avrebbero esaudito ogni sua preghiera. Perciò, pregò Poseidone di mandarle egli stesso la vittima da sacrificare per la sua incoronazione; il dio per mostrargli il suo consenso, dal mare fece emergere uno splendido toro bianco. Minosse fu così colpito dalla sua bellezza che lo mandò al pascolo con la propria mandria, uccidendo un altro toro in sua vece. Le pretese di Minosse al trono furono accettate da tutti i Cretesi all'infuori di Sarpedone, il quale dichiarò che secondo il volere di Aristeo il regno avrebbe dovuto essere diviso tra i suoi eredi; Minosse, in verità, aveva già frazionato l'isola in tre parti e scelto una capitale per ciascuna. Scacciato da Creta per ordine di Minosse, Sarpedone si rifugiò in Cilicia. Radamanto, più saggio di Sarpedone, rimase a Creta; egli visse in pace con Minosse e fu ricompensato con un terzo del regno di Asterio. Frattanto Minosse aveva sposato Pasifae, figlia di Elio e della ninfa Perseide. Poseidone, per vendicarsi dell'affronto fattogli da Minosse, fece sì che Pasifae si innamorasse del toro bianco sottratto al sacrificio. Essa confidò la sua insana passione a Dedalo, il famoso artefice ateniese che ora viveva in esilio a Cnosso. Dedalo promise il suo aiuto a Pasifae e, avendo costruito una vacca di legno ricoperta con una pelle bovina e montata su quattro ruote abilmente celate negli zoccoli, la spinse in un prato nei pressi di Gortina, dove il toro di Poseidone stava pascolando tra la mandria di Minosse. Dedalo mostrò a Pasifae come introdursi nella vacca di legno attraverso uno sportello scorrevole sistemando le gambe nelle zampe posteriori, e si ritirò poi discretamente. Ben presto il toro bianco trotterellò verso la finta vacca e la montò: così Pasifae potè soddisfare il proprio desiderio e diede in seguito alla luce il Minotauro, un mostro con la testa di toro e il corpo umano. Minosse, per nascondere la prova di quel mostruoso tradimento, fece rinchiudere il mostro e la moglie nel Labirinto. Minosse ebbe parecchi figli legittimi: Catreo, Deucalione, Glauco, Androgeo, Acalle, chiamata anche Acacallide, Senodice, Arianna e Fedra. Ma ebbe anche figli illegittimi: dalla ninfa Paria, Eurimedonte, Crise, Nefalione e Filolao. Dalla ninfa Dessitea ebbe un altro figlio, Eussantio. Si Attribuiva a Minosse un gran numero d'avventure amorose e, talvolta l'invenzione della pederastia. Secondo una tradizione, Minosse e non Zeus avrebbe rapito Ganimede. Allo stesso modo, egli sarebbe stato l'amante di Teseo, si sarebbe riconciliato con lui dopo il ratto d'Arianna e gli avrebbe dato la sua seconda figlia, Fedra, in sposa. Fra i suoi amori femminili si citano Britomarti di Gortina, che si gettò in mare piuttosto che cedergli. Le molte infedeltà di Minosse irritarono Pasifae, sua moglie, a tal punto che essa si vendicò con un'opera di magia: ogni qual volta Minosse si giaceva con un'altra donna, spendave in lei uno sciame di scorpioni, millepiedi e serpenti che facevano scempio del ventre della donna. Fu liberato da questa maledizione da Procri, figlia di Eretteo e moglie di Cefalo, la quale acconsentì a dividere il suo letto in cambio di un cane da caccia che non mancava mai la preda e di un giavellotto che non mancava mai il bersaglio ch'egli aveva ottenuto da Artemide. Procri, infatti, conosceva un'erba, la radice di Circe, che ruppe l'incantesimo. Minosse passa per aver incivilito i Cretesi per primo, aver regnato su di loro con giustizia e mitezza e aver loro dato leggi eccellenti. Queste leggi erano così degne di nota che erano considerate come direttamente ispirate da Zeus: Minosse aveva intimi legami con il padre Zeus che lo riceveva ogni nove anni sul monte Ida e gli ispirava il codice legislativo di Creta (la civilizzazione preellenica dell'isola è chiamata minoica dal suo nome). Minosse fu il primo re che riuscì a esercitare un controllo sulla navigazione nel Mediterraneo, sbarazzò quel mare dai pirati e il suo potere in Creta si estese su novanta città. Quando gli Ateniesi assassinarono suo figlio Androgeo, egli decise di vendicarsi e navigò per l'Egeo raccogliendo navi ed eserciti alleati. Minosse trovò alleati tra la gente di Anafe, ma ebbe un secco rifiuto da Eaco re di Egina e ripartì giurando di vendicarsi; Eaco allora rispose all'appello di Cefalo e si unì agli Ateniesi contro Minosse. Frattanto Minosse assediò Nisa, governata da Niso l'Egiziano, che aveva una figlia chiamata Scilla che, colpita dalla bellezza di Minosse, si innamorò perversamente di lui. Una notte Scilla si introdusse nella camera del padre e gli recise la famosa ciocca dorata da cui dipendevano la sua vita e il suo regno; poi, rubate le chiavi della porta della città, l'aprì e si recò nella tenda di Minosse, gli offrì la ciocca di capelli in cambio del suo amore. Quella sera stessa, conquistata e saccheggiata la città, Minosse si giacque con Scilla, ma non volle portarla con sé a Creta. Scilla tuttavia inseguì la nave di Minosse a nuoto e si aggrappò al timone finché l'ombra di suo padre Niso, in forma d'aquila marina, piombò su di lei che, terrorizzata, mollò la presa e annegò. La guerra contro Atene si prolungò con alterne vicende finché Minosse, vedendo che non poteva avere la meglio sugli Ateniesi, pregò Zeus di vendicare la morte di Androgeo e l'intera terra fu allora devastata da terremoti e carestie. Gli Ateniesi consultarono l'oracolo delfico che disse loro di dare a Minosse la soddisfazione ch'egli avesse chiesta; e Minosse volle che ogni anno (od ogni nove anni) gli fosse pagato un tributo di sette fanciulli e sette fanciulle da dare in pasto al Minotauro. Più tardi, Minosse allestì una grande flotta e partì alla ricerca di Dedalo. Portò con sé una conchiglia di Tritone e ovunque giungesse prometteva una ricompensa a chi fosse stato capace di farvi passare da un capo all'altro un filo di lino: egli sapeva che soltanto Dedalo era in grado di risolvere quel problema. Giunto a Camico in Sicilia, egli offrì la conchiglia a re Cocalo proponendogli di tentare la prova e Cocalo la passò a Dedalo che subito scoprì come fare. Cocalo portò poi la conchiglia perfettamente infilata a Minosse chiedendo la ricompensa promessa e Minosse, certo di aver trovato finalmente il nascondiglio di Dedalo, ordinò che questi gli fosse consegnato. Ma le figlie di Cocalo, con l'aiuto di Dedalo, tramarono ai danni di Minosse. Dedalo introdusse un tubo nel tetto della stanza da bagno e attraverso quel tubo versò acqua bollente o, come altri sostengono, pece bollente su Minosse che stava facendo un bagno tiepido. Cocalo restituì poi il cadavere ai Cretesi dicendo che Minosse, inciampando in un tappeto, era caduto in un calderone d'acqua bollente. I compagni di Minosse lo seppellirono con grande pompa e Zeus lo elesse giudice nel Tartaro, dandogli come compagni suo fratello Radamanto e il suo nemico Eaco: Radamanto giudicava gli asiatici ed Eaco gli europei; i casi più difficili venivano sottoposti a Minosse.

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SCUOLA SOTTUFFICIALI DELL'AERONAUTICA MILITARE

La Scuola fonda le sue radici storiche sin dalle origini costitutive dell'Aeronautica quando, accanto all'esigenza di formare i piloti, si ebbe la necessità di addestrare gli specialisti del mezzo aereo. Nel 1924, ad appena un anno dalla costituzione dell'Aeronautica, nasce Scuola Specializzati dell'Arma Aeronautica organizzata su due sedi: Capua e Roma (F.O. n. 23).. La Scuola Specializzati dell'Arma Aeronautica, infatti, fece da "chioccia" ai primi tecnici specializzati dei motori di aeroplano che, con fede ed entusiasmo, prestavano la loro opera nella neonata forza aerea Nel 1929, con il trasferimento della sede di Roma a Capodichino, l'attività istituzionale della Scuola Specializzati dell'Arma Aeronautica prosegue sull'aeroporto di Capua a favore delle categorie motoristi, montatori, fotografi ed armieri e quindi sull'aeroporto di Capodichino per le categorie radioelettricisti e aerologisti. Nel 1931 l'istituto assume la denominazione di Scuola Specialisti Arma Aeronautica con il dipendente distaccamento operante sempre sull'aeroporto di Capodichino, continuando così a svolgere le attività didattiche su entrambe le sedi. Nel 1938 con Determinazione Ministeriale pubblicata su F.O. nr. 21 del 25 luglio, la Scuola Specialisti Arma Aeronautica viene riordinata in Scuola Specialisti della Regia Aeronautica di Capua e Scuola Specialisti della Regia Aeronautica di Capodichino. L'avvicinamento ed il coinvolgimento della nazione nel 2° conflitto mondiale, non compromise lo svolgimento dei corsi per specialisti, infatti le attività della Scuola continuarono normalmente fino all'8 settembre del 1943, momento in cui le attività didattiche vennero sospese e l'istituto venne soppresso. Dopo i disastrosi eventi bellici della seconda guerra mondiale, dove tra l'altro, tanti specialisti formatisi a Capua e Capodichino, scrissero pagine epiche della Regia Aeronautica nell'intero scacchiere internazionale, la Scuola, il 1 ottobre del 1948, fu ricostituita presso la Reggia di Caserta con la denominazione di Scuola Specialisti dell'Aeronautica Militare. Il complesso vanvitelliano, che meglio si prestava alle esigenze della formazione degli specialisti, fu già sede di istituzioni militari quali la Scuola Sottufficiali dell'Esercito dal 1888 al 1895, l'Accademia della Guardia di Finanza dal 1896 al 1925 e soprattutto dell'Accademia Aeronautica dal 1926 al 1943. Da quel momento le attività della Scuola Specialisti ripresero con le stesse metodologie anche nell'ambito della neo-costituita Aeronautica Militare che fece posto alla Regia Aeronautica. Il 1° Corso Specialisti fu incorporato a Caserta nel 1949. La Scuola quindi si occupò, sin dall'inizio, dell'istruzione teorica degli allievi specialisti, mentre le lezioni di pratica professionale venivano svolte sempre presso la base aerea di Capua, dove furono utilizzati velivoli G-12 appositamente attrezzati come "aule volanti", al fine di mettere in pratica le attività e le discipline specialistiche apprese durante la teoria. Nello stesso periodo furono costituite anche le Scuole Specialisti di Taranto e Macerata, allo scopo di disporre di personale Sottufficiale da impiegare nella gestione del settore logistico-amministrativo. Negli anni successivi, il sempre continuo aggiornamento tecnologico della forza armata, portò alla rivisitazione delle strutture e dei programmi dedicati alla formazione degli specialisti elevando il livello qualitativo dei risultati raggiunti dalla stessa. Nel 1977 con la riconversione dell'attività formativa delle Scuole di Taranto e Macerata, alla formazione del personale di Truppa di Leva, la Scuola di Caserta acquisisce anche la responsabilità della formazione degli specialisti (settori Logistico e Amministrativo) elevando così la propria capacità formativa. Nel 1979 l'Istituto assunse quindi la denominazione di Scuola Sottufficiali A.M. con la piena responsabilità della formazione di tutti i Sottufficiali dell'Arma Azzurra. Nei giorni successivi al 23 novembre 1980, in occasione di un gravissimo movimento tellurico che colpiva la Basilicata e la Campania, il personale della Scuola Sottufficiali, nonostante le difficoltà ambientali, si prodigava, sin dal momento della costituzione dei primi centri operativi, con spirito di abnegazione e grande professionalità, intervenendo con uomini e mezzi alle operazioni di soccorso alla popolazione e garantendo, altresì, il necessario supporto logistico ai servizi essenziali. Per tale motivo, la Bandiera d'Istituto, nel 1986 venne insignita della Medaglia di Bronzo al Valor Civile. Dal 1° febbraio 2000, la Scuola venne elevata a rango di Divisione assumendo la denominazione di Divisione Formazione Sottufficiali e Truppa – Scuola Sottufficiali A.M., con la piena competenza sul reclutamento, la formazione, l'addestramento, l'aggiornamento e la riconversione professionale di tutto il personale non direttivo di Forza Armata. Dal 1° novembre 2007, nel quadro di ulteriori provvedimenti volti ad una progressiva ristrutturazione e trasformazione dell'Aeronautica Militare, la Divisione Formazione Sottufficiali e Truppa – Scuola Sottufficiali A.M. è stata riorganizzata in Scuola Specialisti A.M.. Nel 2009, la Scuola Specialisti ha completato la fase di riorganizzazione logistica ed infrastrutturale che ha visto, con la consegna del nuovo Centro Polifunzionale la definitiva creazione di una nuova area didattica d'avanguardia, sulla stregua delle più moderne strutture universitarie. Il Centro sorge dove una volta era situata la zona eliporto. Il centro Polifunzionale è quindi un "campus" didattico a tutti gli effetti, dotato di aule multimediali ed informatiche, laboratori e aule magne, una Sala Auditorium da 600 posti per conferenze seminari e simposi, Uffici, una zona alloggiativa con moduli abitativi creati secondo i più moderni criteri ergonomici e di abitabilità (2 posti letto per camera, bagno, doccia, scrivania di studio, impianto centralizzato di condizionamento dell'aria e rete Lan), oltre ad una moderna palestra e una sala convegno per i frequentatori dei corsi. La struttura consente una flessibilità didattica e formativa di primissimo livello. La Scuola Specialisti è intitolata al Cap. Specialista Fotografo Mario Anelli, insignito della Medaglia d'Oro al Valor Militare (alla memoria) per le operazioni svolte nel 1941 sul Cielo del Mediterraneo Orientale.

Distintivo
Nel Distintivo ufficiale è raffigurato il personaggio della mitologia greca Dedalo intento a forgiare le ali che, nella leggenda, rappresenta il disperato tentativo di aprire una via di salvezza al giovane figlio Icaro, come lui imprigionato nel Labirinto cretese dove si aggirava furioso il Minotauro. Si sintetizza, così, l'eterna aspirazione dell'uomo al volo che, unita al motto "Per tentare gli spazi", enfatizza quella peculiare attività formativa tesa a fornire una preparazione poliedrica ai futuri specialisti dell'Arma Azzurra.

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