Se la riflessione del recanatese ci lascia in eredità queste osservazioni, la sua immaginazione, una decina di anni dopo, poco prima di morire, concepisce, in versi un satirico viaggio aereo su un fantasioso ordigno volante e lungo traiettorie e paesaggi che si spostano da Oriente ad Occidente in un'esperienza di circumnavigazione aerea dell'intero globo.
Nel poemetto Leopardi nomina anche il matematico e filosofo del '600, Padre Lana, che sostenne che sarebbe stato possibile volare nell'atmosfera così come si galleggia sull'acqua sfruttando il principio di Archimede, e non può “dubitar” dell’uomo volante come gli uccelli perché non si possono negare i fatti. Anche l’immaginazione leopardiana fa, dunque, i conti con la realtà, ma il tono ironico della satira assicura all’autore la libertà e il distacco del pensiero da eccessivi coinvolgimenti nel limite della cronaca contemporanea. Altri sono, infatti, i voli della sua fantasia, della sua mente e del suo cuore poetici, ineguagliabili nella commossa ansia d'infinito espressa nel Canto notturno di un pastore errante nell'Asia.

Come già nel mito di Dedalo e Icaro, anche nella storia della umana navigazione aerea gioca un ruolo fondamentale l’aspirazione alla libertà, variamente riconoscibile come libertà dai pregiudizi, dall’oppressione, dalla paura, dall’ignavia, dalla piccolezza della dimensione terrena; ciò a riprova della presenza di motivazioni forti per ogni ambiziosa iniziativa dell’uomo.

È soprattutto nel Novecento, dopo il 1903, anno in cui si leva in volo il biplano a motore dei fratelli Orville e Wilbur Wright, che si trasferisce nel sogno aviario la volontà di potenza e di velocità e che si subordina ad essa la curiosità di provare e di scoprire; la felicità di creare è asservita alla logica della funzionalità e la praticità delle possibili applicazioni del mezzo aereo nella vita civile sembrano ridimensionare di molto l’aspirazione all’infinito e all’immortale.

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Bologna,
22-30 maggio 1910

Video: Umanità fervente sullo sprone, Dino Campana. Voce di Domenico Paparella, introduzione di Angiolino Bellè
Dallo spettacolo Volare, Bovolone, febbraio 2017

Giacomo Leopardi

Dedalo

Orville e Wilbur WrightWilbur

Francesco Lana

Flyier I

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Testo di: Anna Bellio, Voli di Sogno nella letteratura italiana del novecento, I.S.U. Università Cattolica, 2007

GIACOMO LEOPARDI 1798 -1837

Tra i massimi scrittori della letteratura italiana di tutti i tempi, nella sua opera risulta centrale il tema dell’infelicità costitutiva dell’essere umano, intesa come legge di natura alla quale nessun uomo può sottrarsi. Lo Zibaldone di pensieri e soprattutto l'Epistolario vanno considerati non solo come documenti indispensabili per l'interpretazione dell'anima e della poesia di Leopardi, ma come opere d'arte a sé stanti che, insieme con le Operette morali, lo pongono anche tra i maggiori prosatori italiani. Nella biblioteca di casa trascorre i "sette anni di studio matto e disperatissimo" nella volontà di impossessarsi del più ampio universo possibile: sono anni che compromettono irrimediabilmente la salute e l'aspetto esteriore di Giacomo, fonte fra l'altro delle eterne dicerie sulla nascita del cosiddetto pessimismo leopardiano. Leopardi stesso si è invece sempre opposto al tentativo di svilire la portata delle sue convinzioni, contestando che queste nascessero da quelle.

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IL MITO DI DEDALO E ICARO

Dedalo, era nato ad Atene ed era pronipote di Eretteo, re della città. Si dedicò alla scultura e all'architettura, era abilissimo in ciò che faceva; si narra che le sue statue sembravano vive a tal punto da raccontare che esse aprivano gli occhi e si muovevano. A Dedalo sono attribuite le invenzioni dell'ascia, la sega, il trapano, il passo della vite, l'archipenzolo. E' stato maestro di suo nipote Talo, figlio di una sua sorella, che uccise per gelosia quando Talo superò il maestro nella sua arte. L'Areopago, il tribunale, lo condannò all'esilio perpetuo; Dedalo si rufugiò a Creta dove fu accolto benevolmente dal re Minosse che gli commissionò il Labirinto per rinchiudere il Minotauro. A Dedalo, si rivolse Arianna, la figlia di Minosse, per sapere come aiutare Teseo a uccidere il Minotauro e uscire dal Labirinto, e come sappiamo il consiglio del filo riuscì a far trinofare Teseo nell'impresa. Quando Minosse venne a sapere che ad aiutare sua figlia e Teseo fu Dedalo, e non potendo prendersela con la figlia fuggita insieme all'eroe, pensò di punire Dedalo, rinchiudendolo insieme al figlio, Icaro, nel Labirinto, che egli stesso aveva progettato. L'unico modo per uscire dal Labirinto era evadere volando; ingegnoso come era, Dedalo costruì due paia di ali, uno per sè e l'altro per il figlio. Si raccomandò con Icaro di restargli sempre dietro durante il volo, di non strafare e soprattutto di stare attento a non avvicinarsi troppo ai raggi del sole perchè, le ali, attaccate alle spalle con della cera, potevano staccarsi in quanto il calore avrebbe sciolto la cera. Come non detto, Icaro durante il volo, provando piacere si allontanò dal padre e raggiunse i raggi del sole che sciolsero la cera e lo fecero precipitare nel mare, dove morì. Dedalo triste e desolato, atterrò in Campania a Cuma, dove costruì un tempio al dio Apollo, consegnando le ali che aveva inventato per evadere dal Labirinto di Creta.
(Da:http://mitologiagreca.blogspot.it/2008/02/dedalo-e-icaro.html

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ORVILLE & WILBUR WRIGHT

Faceva freddo quella mattina del 17 dicembre 1903. Faceva freddo e soffiava un forte vento con raffiche di quasi 40 chilometri all'ora sulla spiaggia di Kitty Hawk, presso Kill Devil Sand Hill, nella Carolina del nord. La sera prima aveva piovuto, e alcune pozzanghere erano ghiacciate. Il clima era tutt'altro che ideale per far alzare in volo il «Flyer», infatti i fratelli Wilbur e Orville Wright, due dei cinque figli di un vescovo protestante, prevedevano un altro, ennesimo insuccesso. C'erano solo cinque persone a osservare i loro maneggi con quello strano aliante con un motore che loro stessi avevano costruito: John Daniels (a cui si devono le uniche foto esistenti) e Johnny Moore, i due guardiani della stazione di salvataggio marittimo di Kill Devil Sand Hill, e tre occasionali visitatori (A. D. Etheridge, William C. Brinkley e il quindicenne Johnny Moore) i quali, non sapendo come passare la mattinata, erano andati a fare un giro in spiaggia. Nonostante il vento, i Wright alle 10,35 decisero di tentare ugualmente. Ai comandi dell’aereo in legno con ali in tela si mise Orville, sdraiato a pancia in giù. Il Flyer venne posto su una sorta di slitta (non erano state previste le ruote) e trattenuto da un cavo. Poi venne azionato il motore, portato su di giri e, raggiunto un certo livello, rilasciato il cavo che catapultò il velivolo in avanti e, miracolo, invece di cadere di punta si alzò in volo. Orville volò controvento per poco più di 12 secondi alla velocità relativa di 48,5 kmh (effettiva di 12 kmh perché in quel momento il vento contrario era di oltre 36 chilometri all'ora) percorrendo circa 36 metri a un'altezza media di tre metri dal suolo. Il «Flyer», così era stato battezzato dai fratelli Wright, pesava a vuoto 274 kg che salivano a 342 a pieno carico, l'apertura alare era di 12,28 m, la superficie alare di 47,38 mq, era alto 2,8 metri, il motore aveva una potenza di 12 cavalli a 1.020 giri al minuto e due eliche di legno. L’aereo aveva struttura denominata «canard», ossia con gli impennaggi orizzontali di coda davanti alle ali. Quello stesso giorno i fratelli Wright si alzarono in volo altre tre volte: 12 secondi con ai comandi Wilbur, 15" con Orville e infine a mezzogiorno 59" con Wilbur che volò per quasi due chilometri. Riportato indietro per l'ultima volta, l'aereo venne sollevato da una raffica di vento, si capovolse e rimase danneggiato, Daniels restò ferito. Il Flyer non volò mai più. Il primo giornale a dare notizia del successo dei fratelli Wright fu lo sconosciuto quotidiano locale «Virginian Pilot».
Nei due anni successivi i Wright migliorano il loro aereo (sempre denomiato Flyer) compiendo le prime virate e i primi voli in circuito. Ma già il 4 ottobre 1904 Orville superò per la prima volta la mezz’ora di volo percorrendo 33,346 km. L’aereo interessò subito lo stato maggiore militare Usa più che l’industria, ma i contatti furono difficili. Il 23 dicembre 1907 il Signal Corps (l'equivalente Usa del Genio militare), responsabile degli sviluppi militari della neonata disciplina aerea (aerostati, mongolfiere, dirigibili, e via dicendo) codificò la prima specifica per un velivolo: la n. 486. Per essere accettato dal Signal Corps un aereo doveva volare a una velocità di 40 miglia orarie (circa 65 kmh), avere un’autonomia di 2 ore, portare due persone a bordo e carburante per 125 miglia (200 km). Inoltre l’aereo doveva essere smontato, trasportato su carri trainati da cavalli e rimontato entro un’ora. Erano previste forti penalità se la macchina non avesse rispettato questi requisiti. Le prove per il Signal Corps iniziarono il 3 settembre 1908 a Fort Myer, Virginia. Sei giorni dopo il Flyer aveva già superato le specifiche richieste restando in aria per più di un’ora. Ma il 17 settembre avvenne il primo incidente: Orville è seriamente ferito e il tenente Thomas E. Selfridge muore divenendo la prima vittima della storia dell’aviazione. Il 31 dicembre 1908 Wilbur batte in Francia ogni record: resta in aria per 2h18’ coprendo una distanza di 123 km. Wilbur Wright scomparve nel 1912 a causa di un'epidemia di tifo. Orville morì nel 1948.
(Da:http://www.corriere.it, di Paolo Virtuani)

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PARALIPOMENI DELLA BATRACOMIOMACHIA 1831 -1837

Poema pseudo-omerico, allegorico e satirico nel quale sono raffigurate, non senza motivi di irrisione, le contemporanee cospirazioni degli italiani e dei francesi per la libertà, la fede nel progresso, le credenze nell’aldilà. Vi si narra la guerra tra il mondo dei topi e quello dei granchi; il popolo dei topi incarna i liberali, le rane sono i conservatori e i preti, i granchi sono gli austriaci. I topi sono sconfitti dai granchi giunti in aiuto delle rane. L’episodio aviatorio riguarda il conte Leccafondi, ambasciatore e ministro dello stato di Topaia; egli, nelle sue peregrinazioni per il mondo in cerca di aiuti e sostegno alla causa topesca, s’imbatte in Dedalo, identificato con il protagonista dell’antica legenda, ma in realtà diverso:


Dedalo egli ebbe nome, e fu per l’arte
Simile a quel che fece il laberinto.
Che il medesimo fosse antiche carte
Mostran la fama aver narrato o finto.
Se la ragion de’ tempi in due li parte,
Non vo d’anacronismo esser convinto.
Gli anni non so di Creta o di Minosse:
Il Niebuhr li diria se vivo fosse.

Antichissima, come è manifesto,
Fu del nostro l’età. Però dichiaro,
Lettori e leggitrici, anzi protesto
Che il Dedalo per fama oggi sì chiaro
Forse e probabilmente non fu questo
Del quale a ragionarvi io mi preparo;
Ma più moderno io non saprei dir quanto.


Dedalo fornisce d’ali il Leccafondi e, insieme, s’alzano in volo per raggiungere il regno dei morti:



Dedalo, io dico il nostro, ale si pose
Accomodate alla statura umana,
Dubitar non convien di queste cose
Perocché sien di specie alquanto strana.
Udiam fra molte che l’età nascose
La macchina vantar del padre Lana,
E il globo aerostatico ottien fede
Non per udir ma perocché si vede.

Così d’ali ambedue vestito il dosso,
Su pe’ terrazzi del romito ostello
Il novo carco in pria tentato e scosso,
Preser le vie che proprie ebbe l’uccello.
Parea Dedalo appunto un uccel grosso,
L’altro al suo lato appunto un pipistrello;
Volàr per tratto immenso ed infiniti
Vider gioghi dall’alto e mari e liti.

(Scrittori al volo, l'aviazione nella letteratura, a cura di Giorgio Baroni, Alenia Aeronautica, Roma 2006)

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CANTO NOTTURNO DI UN PASTORE ERRANTE DELL'ASIA 1829 -1830

Poema pseudo-omerico, allegorico e satirico nel quale sono raffigurate, non senza motivi di irrisione, le contemporanee cospirazioni degli italiani e dei francesi per la libertà, la fede nel progresso, le credenze nell’aldilà. Vi si narra la guerra tra il mondo dei topi e quello dei granchi; il popolo dei topi incarna i liberali, le rane sono i conservatori e i preti, i granchi sono gli austriaci. I topi sono sconfitti dai granchi giunti in aiuto delle rane. L’episodio aviatorio riguarda il conte Leccafondi, ambasciatore e ministro dello stato di Topaia; egli, nelle sue peregrinazioni per il mondo in cerca di aiuti e sostegno alla causa topesca, s’imbatte in Dedalo, identificato con il protagonista dell’antica legenda, ma in realtà diverso:


...
Forse s'avess'io l'ale
Da volar su le nubi,
E noverar le stelle ad una ad una,
O come il tuono errar di giogo in giogo,
Più felice sarei, dolce mia greggia,
Più felice sarei, candida luna.
O forse erra dal vero,
Mirando all'altrui sorte, il mio pensiero:
Forse in qual forma, in quale
Stato che sia, dentro covile o cuna,
E' funesto a chi nasce il dì natale.
...
(Scrittori al volo, l'aviazione nella letteratura, a cura di Giorgio Baroni, Alenia Aeronautica, Roma 2006)

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FRANCESCO LANA TERZI 1631 - 1687

Francesco Lana nacque a Brescia il 13 dicembre 1631 da una nobile famiglia originaria della Franciacorta. Dopo aver frequentato il Collegio gesuita dei Nobili di Sant'Antonio, a Brescia, decise a 16 anni di entrare nella Compagnia di Gesù. Da questo momento iniziò un'intensa attività di studi e di ricerche in molti settori che lo portarono a visitare e a soggiornare in molte città italiane. Fu insegnante di grammatica e retorica a Terni e quindi docente di filosofia a Brescia. La sua attività non si limitò però soltanto alle lettere ma si estese all'osservazione e all'approfondimento scientifico della chimica e della fisica e allo studio della matematica. Nel 1670 Padre Lana pubblicò a Brescia "Prodromo ovvero saggio di alcune invenzioni nuove promesso all'Arte Maestra", l'opera che gli varrà fama eterna. In questo lavoro Lana sostenne che sarebbe stato possibile volare nell'atmosfera così come si galleggia sull'acqua sfruttando il principio di Archimede mediante grandi sfere di rame nelle quali si fosse ricavato il vuoto estraendo l'aria con una pompa. Scrive Lana che grazie alla sua nave gli uomini avrebbero potuto "servirsi delle vele e dei remi a loro piacere per andare velocissimamente in ogni luogo fino sopra alle montagne più alte". In effetti, così com'era la "nave aerea" non era realizzabile dato che quelle sfere avrebbero avuto un peso superiore alla spinta ascensionale che sarebbero state in grado di fornire. Lo spiega lo stesso Lana nella sua monumentale opera successiva "Magistero della natura e dell'arte". Tuttavia, e qui sta il grande valore di quella intuizione, lo scienziato gesuita aveva compreso che il "principio di Archimede", grazie al quale le navi galleggiano sull'acqua, poteva essere applicato anche al volo. Lana ebbe cioè per primo l'idea che fosse possibile sollevarsi in aria grazie alla differenza di peso specifico: non a caso chiamò la sua invenzione "nave aerea". Lana non mancò inoltre di corredare il suo studio con precise considerazioni sulla navigazione aerea, sull'uso della zavorra per governare l'aerostato e anche sulla fisiologia delle respirazione umana in quota.

C'è chi sostiene che egli non costruì effettivamente la sua "nave" a causa dei pericoli insiti in un'eventuale ascensione. In realtà, come scrive lui stesso nel "Prodromo", Lana temeva fortemente che la sua invenzione potesse essere sfruttata per scopi militari. Secondo quanto scriverà l'abate Giacinto Amati nel 1829, Lana avrebbe comunque sperimentato un modellino della sua nave volante a Firenze, presso il Collegio dei Gesuiti di San Giovannino, anche se non è spiegato in base a quale fenomeno il modellino si sarebbe effettivamente alzato da terra.
La teoria di Francesco Lana ebbe vasta eco nel mondo scientifico e le ricerche condotte nei secoli successivi dimostreranno la giustezza delle sue intuizioni facendone il vero precursore teorico dei principi dell'aerostatica. Lo scienziato napoletano Tiberio Cavallo, in una lettera, renderà merito a padre Lana indicandolo come l'unico scienziato nel mondo ad aver gettato solide basi sul volo umano. Il fisico inglese Cumberland lo considerava il padre indiscusso dell'aeronautica e l'inventore dei palloni aerostatici, mentre il grande storico francese J.Lecornu, nella sua opera "La Navigation Aerienne" del 1903, ha scritto che Lana "ha posto innegabilmente le basi dell'aeronautica". E' probabile che egli abbia elaborato le idee di Ruggero Bacone e Albertus Magnus anche sulla base di un importante esperimento condotto nel 1650 dal fisico tedesco Otto von Guericke, inventore della pompa atmosferica, ripetuto nel 1663 dal gesuita tedesco Kaspar Schott. L'ineccepibile metodo proposto da Lana per creare il vuoto all'interno delle sfere è del tutto analogo a quello impiegato nei barometri inventati da Torricelli qualche decennio prima. Il progetto di Lana fu commentato positiviamente anche dal grande fisico e filosofo tedesco Gottfried Wilhelm Leibnitz, che sottolineò il fenomeno della maggiore leggerezza dell'aria calda e, assai prima dei fratelli Montgolfier, notò che essa va verso l'alto in modo tale che, con le giuste condizioni, è possibile che "una vescica si sollevi in aria".

L'intuizione di Lana non mancò di ispirare anche diverse opere letterarie: dal primo romanzo di fantascienza della storia, scritto nel 1744 da Eberhard Christian Kindermann, al poemetto "Nel mondo della Luna" del gesuita Saverio Bettinelli pubblicato nel 1754; dal "Saggio sulla direzione della barca volante" del napoletano Vincenzo Lamberti del 1784, al poema del 1768 "Navis aerea et elegiarum monobiblos", nel quale il gesuita ragusano Bernardo Zamagna scrive della densità dell'aria alle varie quote e della stratificazione delle nubi, propone di usare bussola e carte georgrafiche per la navigazione e suggerisce l'impiego della "nave aerea" per l'osservazione astronomica. Zamagna ipotizzava anche il giro del mondo e affermava che "la via dell'aria sarà aperta sul mare gelato", frase che appare quasi una profezia delle trasvolate polari di Umberto Nobile.

(Da:http://www.aerostati.it)

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FLYER I

Dopo un tentivolo di volo fallito il 14 dicembre 1903 effettuato da Wilbur Wright, Orville e Wilbur riuscirono a sollevare da terra il primo velivolo a motore della storia il 17 dicembre successivo a Kitty Hawk. Alle 10.35 del mattino, Orville volò su una distanza di 36.5 metri (in circa 12 secondi). Successivamente Wilbur volò per circa 53.3 meteri, seguito nuovamente da Orville che realizzò un volo di 60.9 metri. Finalmente, verso le ore 12.00, Wilbur volò per 259.7 metri in 59 secondi. Il Flyer I aveva una struttura lignea composta dalle parti lineari in abete rosso e da quelle curve in frassino. La cellula era ricoperta con un fine tessuto di cotone sigillato da pittura per vele simile a quella impiegata dai marinai di Kitty Hawk, probabilmente paraffina diluita in kerosene. Le parti metalliche erano realizzate in acciaio dolce e il velivolo era equipaggiato con un motore realizzato con una fusione di 92% alluminio e 8% rame. Il Flyer del 1903 era estremamente robusto con formula biplano. Anteriormente alle ali era posto un elevatore orizzontale a due superfici, e posteriormente un timone verticale a due superfici. Il motore, un quattro cilindri a benzina, era in grado di erogare 12.5 cavalli a 1150 giri dopo qualche secondo di funzionamento. Il otore era collegato a due eliche controrotanti attraverso una catena. Le eliche giravano in media a 348 rotazioni per minuto. Il pilota era sistemato su una culla orizzontale lignea sull'ala inferiore e controllava il volo attraverso i movimenti del corpo. Un movimento dell'anca verso destra operava il sistema di svergolamento delle ali, che, incrementando l'angolo di attacco su un lato delle ali, e diminuendo quello dell'ala opposta, permetteva al pilota di alzare o abbassare i bordi alari per matenere il bilanciamento o per virare. L'alettone anteriore era controllato da una piccola leva manuale, permettendo al velivolo di cabrare. Il timone posteriore era direttamente collegato al sistema di svergolamento per controreagire alla tendenza a picchiare prodotta dallo stesso svergolamento. Per ovviare alla difficoltà di manovrare su terreno ruvido e sabbioso un velivolo ruotato, i Wright optarono per un sistema di lancio alternativo: sistemarono il velivolo su una monorotaia lunga 18 metri; Il velivolo era assicurato da una fune di ritenuta agganciata al bordo di attacco dell'ala inferiore, vicino al posto del pilota e trattenuta da un palo infisso dietro al velivolo. Il velivolo scivolava sulla rampa attraverso dei mozzi di bicicletta modificati. Il motore non disponeva di acceleratore; una leva manuale permetteva solo di aprire e chiudere il flusso del carburante. Per avviare il motore, una bobina veniva collegata alle candele (contatto) e due uomini ponevano in rotazione contemporaneamente le eliche. Quando il pilota era pronto rilasciava il cavo di ritenuta attraverso un comando manuale e il velivolo iniziava a scorrere lungo la rampa. I voli del 14 dicembre 1903 furono gli unici compiuti dal Flyer I. Subito dopo il quarto volo una raffica di vento lo investì a terra causando notevoli danni. Spedito indietro a Dayton fu restaurato alla bisogna per alcune esibizioni statiche prima di essere inviato a Londra, presso il Museo delle Scienze, nel 1928. Vi rimase per vent'anni, nel 1948 ritornò negli Stati Uniti presso la collezione dello Smithsonian Institution.

Apertura Alare: 12.3 metri
Lunghezza: 6.4 metri
Superfice Alare: 47.4 metri quadrati
Peso a vuoto: 274 kg




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ESPERIMENTI D'AVIAZIONE DI BOLOGNA 1910

Si svolgono dal 22 al 30 maggio 1910. Un colpo di cannone sparato da San Michele in Bosco annuncia l'arrivo del primo veivolo su Bologna, pilotato dall'aviatore Cavalieri. L'attesa della folla che assiepa i terrazzi e le altane è tuttavia delusa: l'apparecchio precipita nei pressi di Calderara di Reno, per fortuna senza gravi conseguenze per il pilota. Gli Esperimenti d'Aviazione sono purtroppo ostacolati dal maltempo. In programma è anche un tentativo di trasporto passeggeri da parte dell'aviatore Van der Born. Grande entusiasmo susciteranno da lontano le evoluzioni di un velivolo, che si scoprirà essere un semplice aquilone di carta, manovrato da un ragazzo dalle parti di Chiesa Nuova.

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