Si ricordi il valore morale che, sulla lezione di Ovidio, Ludovico Ariosto assegna all’aurea mediocritas in una favola della sua Satira III. La vera felicità, dice il poeta, risiede in una vita libera da sogni impossibili, nella ricerca di un sereno equilibrio spirituale che rifugge dalle illusioni; Ariosto racconta con ironia cosa successe a un popolo inesperto del mondo e desideroso di scoprire il mistero della luna, ora calante ora nascente, ora piena. I più intraprendenti corsero su per un monte con la certezza di riuscire a raggiungerla e toccarla, ma quando si accorsero che i loro sforzi erano vani, caddero a terra stanchi, avrebbero voluto non essere mai saliti; gli altri che rimasero indietro, nel frattempo, ignari della disillusione di coloro che li precedevano, li invidiavano. Nessuno era felice.

Dalla razionalità classica a quella rinascimentale, fino al razionalismo illuministico, la rappresentazione del volo umano narra di illusioni, esaltazione, meraviglia, soddisfazione di risultati, senso d’avventura e di potenza, ma pure di delusione, dubbio, rischio, errore, impotenza, tragedia; frequenti sono sia il richiamo alla modestia, dettato per lo più da realistica valutazione delle conoscenze e dei mezzi a disposizione di quanti tentano l’impresa, sia la prudenza nel giudizio delle possibili, anche future, applicazioni del volo. Interessanti le testimonianze letterarie delle molte poesie composte in occasione della prima riuscita ascensione, quella in pallone, compiuta nel 1783 dai fratelli Montgolfier. Compongono versi tra il satirico e il burlesco Lorenzo Pignotti, Lorenzo Mascheroni, Onorato Zanella. Impegno civile e preoccupazione morale dettano a Giuseppe Parini il seguente sonetto, nel quale il pallone aerostatico parla in prima persona:
Ecco del mondo, e meraviglia, e giuoco, ...

Vincenzo Monti celebra invece senza incertezze il nuovo miracolo del volo; compone infatti l’Ode al signor di Montgolfier ispirata in realtà dalla notizia dell’ascensione compiuta dai francesi Charles e Robert il 1º dicembre del 1783.
Il poeta si rifiuta di considerare follia ogni tentativo umano di conoscere e dominare le leggi della natura in terra, in mare e in cielo e invita gli elementi naturali a non sdegnarsi se l’uomo osa tanto da varcare delle «tempeste il regno» e giungere a «calcar le nuvole». Nessun senso di colpa, né timore di azione indegna; il tutto è frutto della «virtude» dell’uomo, rivolgendosi al quale il poeta esclama: " Che più ti resta? ..."

PAGINA 3

Palermo,
1-7 maggio 1910

Video: Ode al Signor di Montgolfier, Vincenzo Monti. Voce di Maurizio Garavaso, introduzione di Angiolino Bellè
Dallo spettacolo Volare, Bovolone, febbraio 2017

Ovidio

Ariosto

F.lli Montgolfier

Giuseppe Parini

Vincenzo Monti

Charles & Robert 1783

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Testo di: Anna Bellio, Voli di Sogno nella letteratura italiana del novecento, I.S.U. Università Cattolica, 2007

Testo di: Anna Bellio, Voli di Sogno nella letteratura italiana del novecento, I.S.U. Università Cattolica, 2007

GIUSEPPE PARINI, SONETTI
Per la Macchina Aerostatica

Ecco del mondo e meraviglia e gioco,
Farmi grande in un punto e lieve io sento;
E col fumo nel grembo e al piede il foco
Salgo per l’aria e mi confido al vento:
E mentre aprir novo cammino io tento
All’uom, cui l’onda e cui la terra è poco,
Fra i ciechi moti e l’ancor dubbio evento,
Alto gridando, la Natura invoco:
O madre delle cose! Arbitrio prenda
L’uomo per me di quest’aereo regno,
Se ciò fia mai che più beato il renda
Ma, se nocer poi dee, l’audace ingegno
Perda l’opra e i consigli; e fa’ ch’io splenda
D’una stolta impotenza eterno segno.



GIUSEPPE PARINI, Sonetto, «Giornale delle belle arti e della incisione antiquaria, musica, e poesia», 23 giugno 1784, Roma, Casaletti, p. 3.

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GRANDE GARA DI AVIAZIONE DI PALERMO 1910

Si svolse dal 1 al 7 maggio. L'evento faceva parte delle “Feste di Palermo”, celebrazione dei cinquant'anni della “liberazione” della città, ovvero dell'Unità d'Italia, che prevedevano diversi eventi e inaugurazione di monumenti. L'ideatore e primo organizzatore è il cav. Vincenzo Florio, il cui nome resta legato alla celeberrima gara automobilistica Targa Florio, la cui prima edizione si era svolta nel 1906 e che si continuerà a disputare fino al 1977, sempre sulle tortuose strade di Sicilia, con sospensioni solo nel corso delle due Guerre Mondiali. Il facoltoso palermitano, erede di una famiglia di armatori e produttori di vino, oltre a incrementare i propri affari era anche uno sportivo appassionato di automobili e motori, pertanto non poteva rimanere indifferente alle nuovissime macchine volanti e in particolare all'idea di portarle, così come le automobili, nella sua Sicilia. Aveva già provato a organizzare un evento aviatorio nel 1907, ma aveva dovuto rinunciare a causa di mancanza di partecipanti. Trovò un valido alleato in un giovane pilota piemontese che si sarebbe trapiantato in Sicilia: Clemente Ravetto, che lo stesso Florio inviò in Francia nel 1909, all'atelier Voisin, per acquistare un aeroplano e farsi addestrare al pilotaggio. Si tratta di quello che all'epoca era il massimo della tecnologia in fatto di macchine volanti: un biplano con ali e piani di coda suddivisi in “celle” da pianetti intelati verticali e con una superficie di controllo di profondità anteriore. L'aeroplano viene trasportato a Palermo, smontato, via treno e qui riassemblato sotto il controllo di Ravetto. Il meeting di Palermo non fu riconosciuto dalla Federazione Aeronautica Internazionale, tuttavia furono previsti premi importanti: 50'000 lire per la massima quota raggiunta e 40.000 per la maggiore distanza percorsa, questo garantì una partecipazione significativa. La zona scelta per il “meeting” è quella della spiaggia del Mondello, a circa nove chilometri dal centro di Palermo. Tratto dal blog "Fremmauno" di Francesco Fortunato.

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PUBLIO OVIDIO NASONE 43 a.c. - 17 d.c.

Demoni greci della vendetta Poeta latino venuto giovanissimo a Roma, vi studiò retorica, ma passò presto alla poesia. Fu a contatto con i maggiori letterati e poeti del suo tempo, come Messalla, Cornelio Gallo, Properzio, Orazio, e frequentò la corte di Augusto, conducendo vita brillante. Esercitò magistrature minori, dopo un viaggio d'istruzione in Grecia, Egitto e Asia, e una permanenza in Sicilia; a Roma, in pochi anni, contrasse tre matrimonî, dei quali solo il terzo fu lungo e felice. Nel frattempo, già dai primi anni, nel circolo di Messalla, aveva composto una tragedia, Medea, assai lodata nell'antichità, e aveva cominciato a comporre un canzoniere amoroso in distici elegiaci, che pubblicò nel 14 a. C. in cinque libri e poi, rimaneggiato in tre libri, pochi anni dopo: gli Amores. A questa raccolta di poesie leggere e galanti seguirono le Heroides (titolo originale, forse, Epistulae), fittizie lettere scritte da eroine celebri della mitologia ai loro amanti, probabilmente rimaneggiate ed edite più volte, e l'Ars amatoria, pubblicata in due riprese nei primi anni dell'era volgare. Con quest'ultima Ovidio diventò il beniamino di tutta la società raffinata di Roma. Come completamento dell'Ars, seguirono poi i Remedia amoris e il De medicamine faciei (carme in distici sui cosmetici, di cui ci resta un centinaio di versi). Intorno al 3 d. C. Ovidio si dedicò alla composizione di opere di più vasto respiro: le Metamorfosi e i Fasti. La prima, composta in esametri, è un vasto poema in quindici libri, nel quale si narrano favole eziologiche e miti (che hanno come conclusione la metamorfosi dei protagonisti). Nei Fasti, che si ispirano agli Aitia di Callimaco, il poeta voleva illustrare in distici elegiaci, in dodici libri, uno per ogni mese dell'anno, e cantare in ordine l'origine e i miti legati alle feste del calendario romano, ma il poema fu interrotto al libro 6° perché Ovidio, nell'8 d. C. fu colpito da un durissimo decreto di Augusto, che gli imponeva di lasciare Roma e lo relegava a Tomi (che si è identificata con l'odierna Costanza), nella Scizia. Le cause dell'esilio di Ovidio non sono chiare; carmen et error, secondo le parole di Ovidio stesso nel 2° libro dei Tristia, cioè l'Ars amatoria da un lato, e, probabilmente, l'essersi trovato implicato (involontariamente, secondo varie affermazioni del poeta) in qualche scandalo di corte, dai moderni per lo più identificato con l'adulterio di Giulia, nipote di Augusto, esiliata nello stesso anno, e D. Giunio Silano. A Tomi Ovidio rimase fino alla morte, non avendo ottenuto neppure da Tiberio la revoca del decreto. In viaggio verso l'esilio compose il poemetto Ibis, contro un detrattore, e i due primi libri dei Tristia (elegie), seguiti nel 12 d. C. da altri tre; in esilio scrisse le Epistulae ex Ponto di cui pubblicò tre libri insieme ai Tristia, elegie in forma epistolare, dedicate ognuna a un amico a Roma (il 4° libro delle Epistulae ex Ponto fu pubblicato postumo), un poemetto sulla pesca, Halieutica, e un carme celebrante Augusto, Livia e Tiberio in lingua getica. Di Ovidio sono andati perduti solo carmi minori e la tragedia Medea. Poeta non profondo, verseggiatore abile di straordinaria facilità espressiva e fluidità, immaginazione fervida e intelligente temperamento di narratore, di colorista e di psicologo, Ovidio è una personalità dominante nella cultura latina, e il suo influsso si perpetua potente nel Medioevo, nell'Umanesimo, nel Rinascimento; solo in età moderna la sua fama è stata alquanto ridimensionata.

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LUDOVICO ARIOSTO 1474 - 1533

È il maggiore poeta italiano dell'epica cavalleresca. Nel 1516 uscì la prima edizione dell'Orlando furioso, poema in ottave di grande e immediato successo. Durante la stesura del suo capolavoro, Ariosto scrisse anche le Satire (scritte fra il 1517 e il 1524 e pubblicate postume nel 1534) e alcune commedie. La caratteristica principale dell'Orlando furioso, prima opera di un autore non toscano nella quale viene usato il toscano come lingua letteraria nazionale, è una trama ricca di colpi di scena, nella quale le vicende principali si diramano in episodi secondari. Preferì lo studio delle lettere a quello delle leggi, cui il padre voleva avviarlo e tra il 1495 e il 1500 trascorse gli anni suoi più felici tra i cari studi, gli amori, gli amici. Nel 1500 morì il padre, lasciando discreta eredità, ma dieci figli; sicché toccò a Ludovico, primogenito, assumersi le cure della famiglia. Nel 1502 era capitano della rocca di Canossa, l'anno dopo entrò al servizio del cardinale Ippolito d'Este. Partecipò ad azioni di guerra e diplomatiche (1508-12); nel 1513 incontrò, a Firenze, Alessandra Benucci, moglie di Tito Strozzi, e per lei concepì un amore che durò fino alla morte: rimasta vedova, egli ne fece la sua compagna e più tardi la moglie, ma segretamente, per non perdere i benefici ecclesiastici di cui godeva. I suoi rapporti col cardinale erano quelli del dipendente che ubbidisce e borbotta: quell'esser continuamente in moto, quell'esser fatto "di poeta, cavallaro" non poteva piacergli, tanto più quando la pubblicazione dell'Orlando furioso (1516) lo autorizzava a sperare un tenor di vita più quieto e consono al suo genio. Nel 1517 si rifiutò di seguire il cardinale, nominato vescovo di Buda, in Ungheria e dovette lasciarne il servizio. Nel 1518 passò alla corte di Alfonso I d'Este duca di Ferrara, e ne fu contento, perché il nuovo ufficio lo costringeva di rado ad allontanarsi da Ferrara. Ma nel 1522, tornata la Garfagnana in possesso del duca, questi lo mandò a governarla; impresa difficile per la rozzezza degli abitanti e le fazioni e i banditi che funestavano il paese. Tuttavia fece del suo meglio per mettervi ordine e sicurezza. Dopo tre anni tornò a Ferrara e non ebbe altre molestie: si costruì una casa in contrada Mirasole, sulla quale fece iscrivere il distico: Parva sed apta mihi sed nulli obnoxia, sed non Sordida, parta meo sed tamen aere domus; quivi passò il resto della vita, felice dell'affetto della Benucci e del figlio Virginio, che aveva avuto da altra donna.

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JOSEPH MICHEL & JACQUES ETIENNE MONTGOLFIER

Joseph Michel e suo fratello Jacques Etienne Montgolfier sono considerati gli inventori della “mongolfiera”. Nati ad Annonay, nei pressi di Lione (Francia) i due fratelli Montgolfier appartengono ad una ricca famiglia che possiede una fabbrica per la lavorazione della carta. I due sono caratterialmente diversi: sognatore e geniale Joseph, più pratico e portato agli affari Etienne. Quest’ultimo si dedica per lo più all’attività familiare, introducendo innovazioni tecnologiche nella lavorazione del prodotto, tanto che la fabbrica diventa ben presto un modello per tutte le altre del settore della carta. Tra i due Joseph è da considerarsi la “mente”: pare sia stato lui ad ipotizzare la possibilità di costruire un pallone aerostatico in grado di volare grazie all’aria calda. Mentre osserva un falò, Joseph si rende conto che alcune parti del fuoco si sollevano verso l’alto, giungendo alla conclusione che il fuoco contiene un gas dotato di una caratteristica peculiare, la “levità”. I suoi esperimenti cominciano nel 1782, mentre si trova ad Avignone. Sulla base di questi, Joseph costruisce un contenitore in legno ricoperto di un leggero tessuto di taffettà. Accendendo un falò di carta nella parte inferiore del contenitore, Joseph vede che questo si solleva in aria, urtando infine contro il soffitto. Dopo questo esperimento anche Etienne si convince che il progetto è vincente, e si mette a lavorare con il fratello alla realizzazione del primo aerostato ad aria calda. L’apparecchio costruito viene fatto volare il 14 dicembre 1782, ma il volo ha la durata di pochi metri. Successivamente le dimostrazioni in pubblico dei fratelli Montgolfier vengono accolte con grande curiosità ed entusiasmo. Il primo volo in pubblico del nuovo apparecchio funzionante ad aria calda avviene il 4 giugno 1783, ad Annonay. Stavolta il volo riesce perfettamente, e la notizia arriva anche a Parigi, dove Etienne si reca per confermare la paternità della loro scoperta.

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GIUSEPPE PARINI 1729 - 1799

Ordinato, senza vocazione, prete (1754), accettò il programma dell'Illuminismo e intese la poesia come forza educativa all'«utile», adottando spesso un rigoroso stile neoclassico. Attaccò il torpore morale dell'aristocrazia nel poemetto Il Giorno, capolavoro di Parini, poema unico nel suo genere; satiricamente didattico, in quanto il poeta, forse parodiando il poema didascalico abusato nel suo tempo, finge di scrivere una specie di galateo per il «Giovin Signore»; epicamente satirico, in quanto dà alla satira proporzioni di poema. Ne risulta un gran quadro parlante della ridicola nobiltà italiana del Settecento, pomposa e frivola, superba e vana, molle e oziosa. Figlio di un piccolo negoziante di seta, fu condotto a Milano presso una prozia e iscritto alle scuole di S. Alessandro o Arcimbolde, tenute dai barnabiti. A 23 anni pubblicò un volumetto di versi, Alcune poesie di Ripano Eupilino (cioè «dell'Eupili», nome d'un laghetto prosciugato identificato col vicino lago di Pusiano presso Bosisio), che piacque e gli permise l'ingresso all'Accademia dei Trasformati, accolta di gentiluomini e letterati aperti alle idee del progresso. Una piccola rendita lasciatagli dalla zia a condizione che si facesse prete lo aveva spinto ad abbracciare lo stato ecclesiastico, che d'altra parte era allora la più comoda sistemazione sociale per un letterato di modesta condizione; e nel 1754, senza vocazione, fu ordinato prete. Entrò subito come precettore in casa della colta e bella duchessa Vittoria Serbelloni; e vi rimase otto anni, avendo agio di conoscere a fondo la vita e il mondo della nobiltà del tempo, che satireggiò poi nella sua opera maggiore. Nell'ottobre del 1762, avendo preso le difese della figlia del maestro G. B. Sammartini schiaffeggiata dalla duchessa, questa, benché a malincuore, lo licenziò. Sebbene gli fosse da poco morta la madre, al cui sostentamento aveva dovuto provvedere sempre con grandi sacrifici, passò alcuni mesi di grandi strettezze economiche, dalle quali lo liberò la stampa del Mattino (marzo 1763), che lo fece diventare a un tratto celebre. Il conte Francesco Imbonati gli affidò il figlio Carlo (per il quale Parini scrisse poi l'ode L'educazione); il conte di Firmian, ministro plenipotenziario dell'Austria in Lombardia, cominciò a proteggerlo e gli affidò prima (1768) la compilazione del giornale ufficioso del governo, La Gazzetta di Milano, poi, sulla fine del 1769, la cattedra di eloquenza nelle Scuole Palatine, che nel 1773 presero il nome di R. Ginnasio e si stanziarono nel palazzo di Brera. E altre incombenze egli ebbe dal governo austriaco, da quella di scrivere un melodramma in occasione delle nozze dell'arciduca Ferdinando con Maria Beatrice d'Este, all'incarico di scrivere gli statuti per l'Accademia di belle arti e per quella di agricoltura, fino alla carica di soprintendente alle scuole pubbliche (1791). Alla venuta dei Francesi a Milano (1796), Parini fu nominato membro della municipalità; ma i soprusi e il malgoverno dei demagoghi, creature dei Francesi, subito lo delusero e lo disgustarono. Il 21 luglio lesse una dichiarazione nobilissima, ma ingenuamente impolitica, con la quale rivendicava alla municipalità di Milano il diritto di dare una Costituzione alla Cisalpina, senza attendere gli ordini di Parigi. La sua proposta non fu accolta, e fu congedato. Rientrati nel 1799 a Milano gli Austriaci, accolse volentieri l'invito di celebrarne la vittoria, e la mattina del 15 agosto dettò e poi ricopiò di suo pugno il sonetto Predaro i Filistei, condanna per i Francesi e ammonimento per gli Austriaci. Nel pomeriggio morì.

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VINCENZO MONTI 1754 - 1828

Fu il massimo esponente del neoclassicismo italiano e ricoprì una posizione di prestigio durante il periodo napoleonico e i primi anni della restaurazione. Nato a Fusignano di Alfonsine, presso Ravenna, si formò nel seminario di Faenza e seguì i corsi di giurisprudenza e medicina all'università di Ferrara. Nel 1776 pubblicò il suo primo libro di versi, La visione di Ezechiello, dedicato al cardinale Scipione Borghese. Il successo dell'opera e la protezione del cardinale gli permisero di trasferirsi a Roma, dove rimase fino al 1797. Il clima culturale della città papale, caratterizzato da un neoclassicismo erudito e tradizionalista, si rivelò subito congeniale a Monti, che si dedicò a una produzione poetica celebrativa del potere pontificio: La bellezza dell'universo (1781) per le nozze di Luigi Braschi, nipote del papa, la Feroniade (pubblicata postuma nel 1832) per esaltare con una visionarietà "allucinatoria" il progetto di risanamento delle paludi Pontine e la celebre Ode al signor di Montgolfier (1784), che canta il primo volo in pallone aerostatico. Monti si cimentò con successo anche nel teatro, scrivendo due tragedie, l'Aristodemo (1786) e il Galeotto Manfredi (1788). Nel 1791 si sposò con la bellissima Teresa Pikler. Nel 1793 avviò la Bassvilliana, in terzine dantesche (notevole per intensità visionaria e facilità narrativa), in cui, prendendo spunto dall'assassinio a Roma del rivoluzionario francese J. Hugou, detto Bassville, convertitosi in punto di morte, condanna gli orrori della rivoluzione francese e celebra la grandezza della fede redentrice. Negli anni successivi, però, mostrò una moderata simpatia per la rivoluzione: sospettato dall'autorità romana, fu costretto a fuggire a Milano sotto la protezione di Napoleone. A Milano divenne poeta ufficiale del nuovo potere napoleonico. Esaltò Napoleone nel Prometeo (1797), nell'ode Per la liberazione d'Italia (1801) e ancora nel poemetto In morte di L. Mascheroni (1801) e nella tragedia Caio Gracco (1802). Sempre più inserito negli ambienti ufficiali del regime, celebrò la gloria dell'imperatore dei francesi in vari componimenti poetici d'occasione, con ampi riferimenti al mito greco. Fu ricompensato con la nomina a poeta del governo italiano (1804) e a storiografo del Regno d'Italia (1806). L'indiscussa egemonia sull'ambiente letterario milanese fu rafforzata dalla pubblicazione della traduzione dell'Iliade (1810), da lui compiuta su traduzioni latine, poiché conosceva poco il greco. Il risultato della versione è comunque esaltante: una lingua precisa e luminosa, un sentimento epico che sa alternare malinconia, epos e narrazione in toni quasi dolci e familiari. Alla caduta di Napoleone Monti si schierò subito con i vincitori, ai quali dedicò le azioni teatrali Il mistico omaggio (1815); Il ritorno d'Astrea (1816); Invito a Pallade (1819). Il governo asburgico cercò di utilizzarne l'indiscutibile prestigio nominandolo direttore della rivista letteraria "Biblioteca italiana", ma Monti si trovò a essere progressivamente emarginato. Partecipò comunque con vivo interesse al dibattito sulla questione della lingua con la Proposta di alcune correzioni e aggiunte al vocabolario della Crusca (1817-26), scritta in collaborazione con il genero Giulio Perticari, assumendo una posizione critica nei confronti del purismo più radicale. Diede il proprio contributo alla grande polemica sul romanticismo con lo scritto Sermone sulla mitologia (1825), in difesa del valore poetico dei miti classici (la "meraviglia" e il "portento" delle favole mitologiche contro "al nudo arido vero"). La sua ultima opera, scritta a più di settant'anni, Pel giorno onomastico della mia donna Teresa Pikler (1826) è un testo ricco di sensibilità e di una melanconia sapientemente costruita ma non soffocata dall'eleganza neoclassica. (Da. www.sapere.it)

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ASCENSIONE DEI MONTGOLFIER 21 NOVEMBRE 1783

Come è noto l'invenzione della mongolfiera è attribuita ufficialmente ai fratelli Joseph e Etienne Montgolfier, imprenditori cartai francesi con la passione per la ricerca scientifica. Il pallone ad aria calda potrebbe però essere nato in Cina molti secoli prima, così come si ha notizia di palloni incendiari usati a scopo bellico nel medioevo. Forse addirittura l'aerostatica sarebbe nata duemila anni fa nella valle del Rio Nazca, nel Perù meridionale. Più recentemente, nel 1709, le cronache riportano notizie degli esperimenti compiuti alla corte portoghese da padre Bartholomeu Lourenço de Gusmão, professore di matematica all'università di Coimbra. Le descrizioni sono però frammentarie e non è molto chiaro nemmeno in che modo funzionasse la macchina volante di Gusmão. In mancanza di documenti attendibili, dunque, per ora il merito della conquista del volo resta ai Montgolfier che verso la fine del '700 scoprirono la forza ascensionale dell'aria calda. I due fratelli francesi, come altri loro contemporanei, pensavano tuttavia che tale forza fosse dovuta non già semplicemente all'aria riscaldata, ma ad un particolare gas che venne denominato appunto "gas Montgolfier". Fu il grande scienziato italiano Alessandro Volta, con i suoi studi sulla natura dei gas, il primo a comprendere esattamente il fenomeno fisico che presiede al volo aerostatico. Grazie ai loro studi ed esperimenti i Montgolfier poterono realizzare l'aerostato con cui, il 21 novembre 1783, il giovane fisico francese Jean-François Pilâtre de Rozier e il marchese François Laurent D'Arlandes compirono il primo volo umano non vincolato della storia sorvolando Parigi sotto gli occhi del re Luigi XVI, della corte e di una folla immensa. Pochi giorni dopo, il 1° dicembre, altri due francesi, Jacques Charles e Marie-Noël Robert sempre a Parigi, compirono il primo volo umano libero con un aerostato gonfiato con idrogeno, il gas più leggero dell'aria che era stato scoperto nel 1766.

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ODE AL SIGNORE DE MONTGOLFIER 1784

Quando Giason dal Pelio spinse nel mar gli abeti,
e primo corse a fendere co’ remi il seno a Teti,
su l’alta poppa intrepido col fior del sangue acheo
vide la Grecia ascendere il giovinetto Orfeo.
Stendea le dita eburnee su la materna lira;
e al tracio suon chetavasi de’ venti il fischio e l’ira.
Meravigliando accorsero di Doride le figlie;
Nettuno ai verdi alipedi lasciò cader le briglie.
Cantava il Vate odrisio d’Argo la gloria intanto,
e dolce errar sentivasi su l’alme greche il canto.
O della Senna, ascoltami, novello Tifi invitto:
vinse i portenti argolici l’aereo tuo tragitto.
Tentar del mare i vortici forse è sì gran pensiero,
come occupar de’ fulmini l’invïolato impero?
Deh! perchè al nostro secolo non diè propizio il Fato
d’un altro Orfeo la cetera, se Montgolfier n’ha dato?
Maggior del prode Esonide surse di Gallia il figlio.
Applaudi, Europa attonita, al volator naviglio.
Non mai Natura, all’ordine delle sue leggi intesa,
dalla potenza chimica soffrì più bella offesa.
Mirabil arte, ond’alzasi di Sthallio e Black la fama,
pèra lo stolto cinico che frenesia ti chiama.
De’ corpi entro le viscere tu l’acre sguardo avventi,
e invan celarsi tentano gl’indocili elementi.
Dalle tenaci tenebre la verità traesti,
e delle rauche ipotesi tregua al furor ponesti.
Brillò Sofia più fulgida del tuo splendor vestita,
e le sorgenti apparvero, onde il creato ha vita.
L’igneo terribil aere, che dentro il suol profondo
pasce i tremuoti, e i cardini fa vacillar del mondo,
reso innocente or vedilo da’ marzii corpi uscire,
e già domato ed utile al domator servire.
Per lui del pondo immemore, mirabil cosa! in alto
va la materia, e insolito porta alle nubi assalto.
Il gran prodigio immobili i riguardanti lassa,
e di terrore un palpito in ogni cor trapassa.
Tace la terra, e suonano del ciel le vie deserte:
stan mille volti pallidi, e mille bocche aperte.
Sorge il diletto e l’estasi in mezzo allo spavento,
e i piè mal fermi agognano ir dietro al guardo attento.
Pace e silenzio, o turbini: deh! non vi prenda sdegno
se umane salme varcano delle tempeste il regno.
Rattien la neve, o Borea, che giù dal crin ti cola:
l’etra sereno e libero cedi a Robert che vola.
Non egli vien d’Orizia a insidïar le voglie:
costa rimorsi e lacrime tentar d’un dio la moglie.
Mise Tesèo nei talami dell’atro Dite il piede:
punillo il Fato, e in Erebo fra ceppi eterni or siede.
Ma già di Francia il Dedalo nel mar dell’aure è lunge:
lieve lo porta zeffiro, e l’occhio appena il giunge.
Fosco di là profondasi il suol fuggente ai lumi,
e come larve appaiono città, foreste e fiumi.
Certo la vista orribile l’alme agghiacciar dovría;
ma di Robert nell’anima chiusa è al terror la via.
E già l’audace esempio i più ritrosi acquista;
già cento globi ascendono del cielo alla conquista.
Umano ardir, pacifica filosofia sicura,
qual forza mai, qual limite il tuo poter misura?
Rapisti al ciel le folgori, che debellate innante
con tronche ali ti caddero, e ti lambîr le piante.
Frenò guidato il calcolo dal tuo pensiero ardito
degli astri il moto e l’orbite, l’Olimpo e l’infinito.
Svelaro il volto incognito le più rimote stelle,
ed appressar le timide lor vergini fiammelle.
Del sole i rai dividere, pesar quest’aria osasti:
la terra, il foco, il pelago, le fere e l’uom domasti.
Oggi a calcar le nuvole giunse la tua virtute,
e di natura stettero le leggi inerti e mute.
Che più ti resta? Infrangere anche alla morte il telo,
e della vita il nettare libar con Giove in cielo

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DA: "ODE AL SIGNOR DE MONTGOLFIER" 1784

Che più ti resta? Infrangere
anche alla morte il telo,
e della vita il nettare
libar con Giove in cielo

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ASCENSIONE DI CHARLES & ROBERT 1783

La prima ascensione di un pallone gonfiato di idrogeno, con equipaggio umano costituito dal medesimo Charles e da Marie-Noël Robert, venne eseguita il 1º dicembre 1783, con partenza dai giardini delle Tuileries e discesa presso Nesle, a ca. 50 km di distanza.

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