Il peruviano Chavez, detto Geo, valicò il Sempione in aeroplano da Briga a Domodossola dove precipitò, ferendosi mortalmente a impresa terminata, il 23 settembre 1910. Ancora una volta il Pascoli interpreta il volo di Chavez come una solitaria sfida alla morte. La poesia, costruita tra realtà e simbolismo, rappresenta il volo come azione eroica per eccellenza; per essa l’aviatore si distingue dall’uomo comune e si fa compagno delle sacre aquile, simbolo della divinità. Il poeta immagina le aquile alla ricerca «dell’uomo alato» che « in cielo, un dì, mirabilmente muto, // passar fu visto, come Dio, seduto!; i grandi uccelli cercano ...»

La terzultima terzina citata è, in sintesi, il centro della poesia e la moderna versione che il Pascoli dà del mito d’Ulisse accompagnato a quello, divenuto realtà, di Icaro. Nell’ode, il volo di Chavez in vetta alle rocce, sugli orridi a valicare le gole, rasente forcelle e speroni dirupati, in ascesa in cerca delle condizioni migliori e infine in discesa per l’atterraggio evitando insidie e scongiurando imprevisti, corrisponde a quello della terra tra le costellazioni in vertiginoso roteare tra i mondi. Il Pascoli ne fa infatti un motivo della sua poesia cosmica; il volo del peruviano è «in realtà,un’infinita caduta dentro il cielo, fra le nebulose, verso il sole, e laconclusione di esso è tale sublimazione cosmica, non certamente la caduta dell’aereo dell’eroe fra le montagne, in mezzo alle quali le sacre aquile insistono a cercarlo». Le aquile sono naturalmente maestre del volo negato all’uomo e così sono infatti rappresentate nella seconda terzina che le raffigura «placide», mentre inquietudine nasce in loro al ricordo (o forse hanno sognato?) di «un essere terreno» che è passato «forte rombando» nei loro spazi infiniti.

Le tragedie aviatorie non ostacolano i progressi: tra il 1896 e il 1903 è proprio grazie agli studi naturalistici e alle teorie di Lilienthal che si costruisce l’aliante biplano del francese Octave Chanute, si assiste inoltre alla sperimentazione dei sistemi di propulsione messi in atto dall’astronomo americano Samuel Pierpont Langley e dal suo assistente Charles M. Mainly.

PAGINA 7

Pisa,
22-23 gennaio 1910

Tato, Aeroplani + Metropoli, 1930

Octave Chanute

Otto Lilienthal

Samuel Pierpont Langley

Geo Chavez

Giovanni Pascoli

Charles M. Manley

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Testo di: Anna Bellio, Voli di Sogno nella letteratura italiana del novecento, I.S.U. Università Cattolica, 2007

GRANDE GARA DI AVIAZIONE PISA 1911

Nel 1911 Pisa ospitò per la prima volta manifestazioni e gare aviatorie sulla città. Il 22 gennaio 1911 il pilota Mario Cobianchi effettuò il primo sorvolo con aereo a motore della Torre pendente

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OCTAVE CHANUTE 1832 - 1910

Ingegnere americano di origine francese specialista in ponti ferroviarî, la sua fama è principalmente dovuta ai suoi studî di aeronautica. Si dedicò alla costruzione e sperimentazione di veleggiatori monoplani e biplani; un suo biplano, provvisto di timoni di direzione e di quota, servì di modello a quello dei fratelli Wright.

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OTTO LILIENTHAL 1848 - 1896

Ingegnere tedesco nato ad Anklam, in Pomerania, nel 1848. Fu un pioniere dell'aeronautica. Osservando il volo degli uccelli, costruì, con i suoi mezzi, alianti con i quali eseguì voli librati e veleggiati anche di centinaia di metri (1891-96). Morì precipitando durante un tentativo a Rhinow il 10 agosto 1896. Scrisse Der Vogelflug als Grundlage der Fliegekunst (1889).

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SAMUEL PIERPONT LANGLEY 1834 - 1906

Pioniere dell'aviazione statunitense. Segretario dello Smithsonian Institution potè disporre di ampie risorse e credibilità nel portare avanti i suoi progetti e i suoi velivoli. Ebbe ampio successo con i veleggiatori e con i primi aerei non pilotati. In particolare il suo Aerodrome n. 6 riuscì a volare per oltre 1400 metri ad una velocità di 50 km/h il 28 novembre 1896. In virtù di questo successo ricevette 50.000 dollari dall'esercito americano per lo sviluppo di una macchina pilotata. Una somma identica fu stanziata dallo Smithsonian Institution. Il suo collaboratore, Charles Manley riuscì a sviluppare un motore radiale a combustione interna che sviluppava 52 cavalli. Il velivolo, "The Great Aerodrome, non aveva sistema di guida e quindi il passeggero era esposto ad evidenti pericoli. Per ovviare Langley decise di volare sul mare costruendo, per il lancio una piattaforma galleggiante che assorbì oltre metà dei suoi fondi. Il lancio fu un fallimento e l'evento concluse la carriera aeronautica di Langley, sottoposto a violenti attacchi per aver dilapidato i fondi governativi.

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JORGE CHAVEZ DARTELL "GEO" 1887 -1910

Geo Chavez nasce a Parigi 13 giugno 1887 e viene iscritto al consolato del Perù come Jorge Chavez Dartell. Al battesimo, il nome spagnolo viene francesizzato in George, da cui deriva il diminutivo Geo. Nel gennaio del 1910 entra alla scuola per aviatori di Henri Farman e il 7 febbraio compie il primo volo. Una settimana dopo è già pronto per superare le tre prove per ottenere il brevetto di pilota aviatore. Il 2 marzo sale a 510 metri di altezza con un biplano Farman. (A quel tempo il record era detenuto dall'aviatore Paulhan con 1269 metri). Nel mese di luglio, prima delle manifestazioni aeree di Reims decide di acquistare un Bleriot XI, convinto che i monoplani siano più adatti alle gare di altezza. Sale a 1150 metri e discende a motore spento in soli 2 minuti. Nel mese di settembre a Issy lex Moulineaux ottiene il record mondiale: raggiunge quota 1680 metri pilotando il suo nuovo velivolo. Il 23 settembre, in occasione del Circuito aereo internazionale di Milano, effettua la traversata delle Alpi in 44 minuti e 56 secondi. Batte il record di percorrenza tra Briga e Domodossola e migliora di oltre 20 minuti il record ottenuto in treno passando per il tunnel del Sempione (1 ora e 7 minuti). Quattro giorni dopo, a seguito dei traumi riportati durante l'atterraggio, muore all'ospedale di Domodossola a soli 23 anni.

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GIOVANNI PASCOLI 1855 - 1912

Giovanni Pascoli nasce a San Mauro di Romagna il 31 dicembre 1855. Quarto di dieci figli, Giovanni Pascoli trascorse un’infanzia serena nel paese natale, dove il padre Ruggero era amministratore di una tenuta dei principi di Torlonia. Nel 1862 entrò nel collegio dei padri Scolopi di Urbino, dove compì gli studi elementari e medi. Quando Giovanni Pascoli aveva dodici anni, il 10 agosto 1867, il padre fu misteriosamente assassinato, forse per motivi di interesse legati alla sua professione, mentre ritornava a casa. Negli anni successivi altri lutti familiari funestarono l’adolescenza del poeta: morirono infatti la madre, una sorella e due fratelli. Nonostante le difficoltà finanziarie e il disgregamento del nucleo familiare, egli riuscì a portare a termine brillantemente gli studi classici, ottenendo una borsa di studio che gli permise di iscriversi alla facoltà di Lettere dell’Università di Bologna, dove fu allievo di Giosue Carducci. Portati a termine con successo gli studi universitari, Giovanni Pascoli iniziò la carriera di insegnante di latino e greco nei licei di Matera, Massa e Livorno e poi nelle Università di Messina e di Pisa. Intanto cercava di ricostruire, almeno in parte, il nucleo familiare, chiamando a vivere con sé le sorelle Ida e Maria. Ma l’illusione di una ritrovata serenità familiare fu interrotta dal matrimonio di Ida, che il poeta percepì come un tradimento. Si stabilì così con la sorella Maria a Castelvecchio di Barga, presso Lucca. Qui, mentre continuava l’insegnamento universitario, si dedicò alla scrittura di opere in versi e di saggi di critica letteraria ma, soprattutto, all’osservazione della natura e alla direzione del lavoro dei campi della sua tenuta. In questi ultimi anni la sua attività poetica si orientò verso poesie celebrative della grandezza d’Italia, e Pascoli diviene così il poeta ufficiale del Regno, subentrando, anche in questo ruolo, al suo maestro Carducci. Giovanni Pascoli morì a Bologna il 6 aprile 1912, all’età di 57 anni.

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CHAVEZ di Giovanni Pascoli. Da Odi e Inni

Cercano ancora... Cercano tra i venti randagi, in mezzo alle selvaggie strette, su scrosciar di valanghe e di torrenti; cercano ancora, l’ultime vedette, rapide trasvolando per le gole, placide roteando sulle vette, lungo il confine, immenso azzurro, sole tra l’aria e il vuoto, tra la terra e il sole. Hanno sognato forse nella notte! Battono l’ala contro la parete dei borri, presso l’orlo delle grotte. Ad ogni tonfo che l’eco ripete, sbalzano su, guardando fise in fondo dei cupi abissi, guardando inquiete subito in cielo; con orror profondo solcano a sghembo, spaurite, il Gondo: hanno esplorato i monti, hanno gridato alle montagne; con insonne cuore mirano il cielo immobile e stellato: palpitano alle raffiche sonore, tremano d’una nuvola, d’un tuono ch’a un tratto scoppia e lungamente muore; posate ognuna sur un irto cono mirano gli astri, se ne venga un suono... se ancora appaia, cresca agli occhi, e passi forte rombando, un essere terreno... colui che ascende ma strisciando ai sassi, colui che sogna e non è mai sereno, colui che pensa, ma non vola, bruto dannato al suolo dove rode il freno; che in cielo, un dì, mirabilmente muto passar fu visto, come Dio, seduto! un uomo! l’uomo alato! che discese e che sparì. Dietro le roccie nere, ei discendea con le grandi ali tese simile al sole delle fiammee sere, simile al sole che si trascolora, quanto al salire, tanto nel cadere. Ebbe l’occaso; quando avrà l’aurora?... Cercano, le vedette ultime, ancora. Aquile, no! Non lo vedrete. Ancora egli discende e nell’orecchio il gelo ha di quel soffio e il rombo di quell’ora. Aquile, no! Non più raffrena anelo il suo remeggio, più non chiude l’ale poi ch’una volta le distese in cielo. Discende ancora con un volo eguale, discende sempre, calmo ed immortale. Che forre e gole e vortici e spavento di precipizi e giganteggiar d’erte roccie e improvvisi sibili di vento! O voi delle altitudini deserte, aquile dei ghiacciai, delle morene, ei va con l’ale eternamente aperte, va per le solitudini serene, fuor della terra, o aquile terrene! fuor della terra che notturne a prova serrate, come preda da voi morsa, tra i fieri artigli, a che più non si muova; eppur si muove, e corre, e nella corsa v’aggira e porta e al sole riconduce; mentre lontana splende la Grande Orsa, splende Orione, Aldebaran, Polluce... Ma ci discende nella pura luce. Discende? Ascende! Aquile, gli occhi aprite avvezzi al sole che gli spazi invade, alle stelle remote ed infinite! Là, sulle incerte nebulose rade, là, sull’immensità che gli s’invola di sotto, là, su l’alto cielo ei cade. Cade, con la sua grande anima sola sempre salendo. Ed ora sì, che vola!

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CHARLES MANLEY SMITH 1876 -1927

Ingegnere americano, fu il prezioso collaboratore che aiutò Langley a costruire il velivolo a motore non pilotato "The Great Aerodrome". Il suo maggio contributo fu la realizzazione di un motore da 52 HP alimentato a benzina, ti tipo radiale, chiamato Manly-Balzer. Tentò per due volte di pilotare il velivolo che finì nel fiume Potomac, dopo il lancio avvenuto da una piattaforma gallegiante. was an American engineer who helped Smithsonian Institution Secretary Samuel Pierpont Langley build The Great Aerodrome, which was intended to be a manned, powered, winged flying machine.

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