Nel primo Novecento la letteratura ha toni comprensibilmente
trionfalistici, l’orgoglio per la nascita dell’Aeronautica, che dopo la
produzione di due modelli di dirigibili italiani avvia un progetto
d’aviazione, lancia il suo grido di gioia: «Si vola! Si vola!». Lo
sostengono le parole dell’«immaginifico» vate di Pescara, accese di
fierezza ed entusiasmo per la «macchina alata», che al di là di ogni
miseria della storia e di ogni limite geografico dà un’immagine della
potenza e della bellezza dell’Italia. È bella, precisa, sembra modellata
dall’aria per l’aria.
L’aereo dunque è la conquista scientifica, artistica, culturale e
militare del momento, ed ecco Paolo Buzzi intitolare Aeroplani una sua
raccolta poetica del 1908. L’intenzione del poeta è quella di assimilare
l’aurorale poesia futurista al mezzo volante. Il libro di Buzzi è un
esemplare d’aeropoesia esordiente, insieme a Ponti sull’Oceano e Il canto
dei motori di Luciano Folgore, Caproni di Mario Carli e Le monoplan du
Pape. Roman politique en vers libres di Filippo Tommaso Marinetti.
Inno alla Poesia nuova, in Aeroplani, è un componimento in versi
liberi che, sin dalle prime battute, proietta l’uomo vivente verso il
futuro, sul soffio del «vento dinnanzi» per lasciarsi alle spalle il passato
e farsi trasportare dal nuovo sole della libertà, dal vortice di motori tra le
stelle, dall’infinto dei mari in «anelito di mille sirene», dalla potenza
dei vulcani, dal nascere d’una poesia che «è figlia del vento dell’Alpi» e
ha versi «di vento». Giocata sul dinamismo dell’aria, la composizione
di Buzzi rappresenta la creazione poetica stessa: è libera, mossa, agile,
sbuffante, fatta di soffi leggeri o violenti, incontenibili come l’emozione
o la pazzia, come il ritmo del cuore umano che va «sposo» a quello del
mondo, come il volo dell’aereo che s’immerge nel mondo in ascesa, nello
spazio immenso della
vertigine.
Nella stessa raccolta si legge Canto alato, protagonista è l’aeroplano:
I cittadini volano.
Le statue dei miei padri vedono passare,
presso i lor gesti e i lor sonni,
gli uomini nuovi nel nuovo garrito dell’ali.
L’aeroplano naviga via, sovra le torme del fumo
e cerca la vetta estrema dell’Alpi per valicarla
più aereo, più delizioso. Modernità, novità e futuro ‘volano’ davanti alle statue immobili
degli antenati, simbolo eccellente, per i Futuristi, del passato da superare
e lasciarsi alle spalle senza indugi.
Ecco infatti Enrico Cavacchioli pensare a una Fuga in aeroplano:
Voleremo insaziabilmente!
Quando il motore oleoso ....
La poesia è un fuoco d’artificio d’immagini in libertà, si riconoscono
in essa motivi della tradizione, ma frantumati e scompigliati come per
una deflagrazione di intenzioni fantastiche decisamente nuove e
provocatorie. Evidente è l’attenzione per la macchina nelle sue
componenti meccaniche e metalliche, per il motore che ne è l’anima, per
la violenza della corsa; si canta l’assalto e l’espugnazione dei nuovi
mondi celesti perché tutto si compie in ebbrezza di guerra. Sopravvive la
metafora del rapace che interpreta da millenni l’ansia del volo; rimane
anche lo sprezzo della vita in condizioni d’eccezione che assicurano
gloria.
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Tato, La Coppa Schneider, 1930 ?
Gabriele D'Annunzio
Paolo Buzzi
Luciano Folgore
Mario Carli
Filippo Tommaso Marinetti
Enrico Cavacchioli
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Testo di: Anna Bellio, Voli di Sogno nella letteratura italiana del novecento, I.S.U. Università Cattolica, 2007