Alle pagine di «Le Figaro», il 20 gennaio 1909, Filippo Tommaso
Marinetti affida il suo proclama aereo che è al tempo stesso una
dichiarazione di fede nel suo tempo e un’efficace collocazione della sua
poesia sul «trampolino di lancio»
Noi canteremo [...] il volo scivolante degli aeroplani, la cui elica garrisce
al vento come una bandiera e sembra applaudire una folla entusiasta.
[...] ci troveremo alfine una notte d’inverno in aperta campagna, sotto
una triste tettoia tamburellata da una pioggia monotona, e ci vedranno
accoccolati accanto ai nostri aeroplani trepidanti.
Due anni dopo il decollo del Futurismo, Marinetti, nel 1911, redige
il manifesto
Uccidiamo il chiaro di luna; il nostro satellite, ritenuto
emblema di un passatismo lirico, sentimentale e stagnante, diventa il
primo bersaglio della violenza rivoluzionaria futurista e delle sue
immagini battagliere, rapidamente saettanti dalla bellezza rilucente della
macchina d’acciaio, eroina del manifesto d’esordio (Fondazione e
manifesto del futurismo), alla velocità ebbra dell’aereo:
Vogliamo delle ali!…Facciamoci dunque degli aeroplani!.
Nelle battute del brano, l’aereo è potenza, sensazione di vittoria sulla
lentezza e sul legame vischioso alla terra, decollo verso il dominio del
mondo futuro, promessa di nuove delizie, depurate da amori insipidi,
armate di ben altre moderne e audaci lusinghe («Tu non godrai mai più
di simili insipidezze… Le canne con le quali un tempo facevamo delle
zampogne formano l’armatura di questo aeroplano»). Marinetti si
esprime ancora, per lo più, nel linguaggio dell’arte tradizionale; pur
assecondando movenze simboliste decadenti, non è infatti insensibile
all’idillica meraviglia della natura celebrata da tanta lirica italiana e
straniera, ma la tensione è al superamento di entrambe.
Chi scrive è
come trattenuto dalle malíe di un amore antico e, contemporaneamente,
sedotto dal richiamo suadente di una nuova passione; nella
rappresentazione letteraria, la lotta si risolve con la conquista delle ali,
ossia con la costruzione degli aerei, l’elemento risolutore che strappa
l’uomo al presente, sollevandolo e proiettandolo «contro il vento», alla
riscossa dal passato. È la vittoria della velocità che, come il vento,
«garrisce sulle vette», superando ostacoli e contrasti.
Entro l’esaltata saga del presente lanciato verso il futuro, nel
manifesto si ritrovano l’antica familiarità tra gli elementi equorei e
quelli celesti («Noi ritagliammo i nostri aeroplani futuristi nella tela
color d’ocra dei velieri») e la forte valenza simbolica del rapace che
tanta parte ha avuto nell’interpretazione artistica dell’aspirazione
umana al volo («Alcuni avevano ali equilibranti e […] s’innalzavano
come avvoltoi»).
Del mito di Dedalo e Icaro i futuristi recuperano soprattutto la
figura del coraggioso e geniale ingegnere costruttore; nella foga della
velocità, come in quella del successo, non hanno tempo per temere la
caduta, riflettere su di essa o rimpiangere lo sfortunato Icaro, del quale si
valorizza la folle audacia, che Marinetti e seguaci celebrano come una
delle garanzie di riuscita.
PAGINA 11
Osvaldo Peruzzi, Aeropittura, 1930
Tommaso Filippo Marinetti
Icaro
Dedalo
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Testo di: Anna Bellio, Voli di Sogno nella letteratura italiana del novecento, I.S.U. Università Cattolica, 2007