Alle pagine di «Le Figaro», il 20 gennaio 1909, Filippo Tommaso Marinetti affida il suo proclama aereo che è al tempo stesso una dichiarazione di fede nel suo tempo e un’efficace collocazione della sua poesia sul «trampolino di lancio»
Noi canteremo [...] il volo scivolante degli aeroplani, la cui elica garrisce al vento come una bandiera e sembra applaudire una folla entusiasta. [...] ci troveremo alfine una notte d’inverno in aperta campagna, sotto una triste tettoia tamburellata da una pioggia monotona, e ci vedranno accoccolati accanto ai nostri aeroplani trepidanti.
Due anni dopo il decollo del Futurismo, Marinetti, nel 1911, redige il manifesto Uccidiamo il chiaro di luna; il nostro satellite, ritenuto emblema di un passatismo lirico, sentimentale e stagnante, diventa il primo bersaglio della violenza rivoluzionaria futurista e delle sue immagini battagliere, rapidamente saettanti dalla bellezza rilucente della macchina d’acciaio, eroina del manifesto d’esordio (Fondazione e manifesto del futurismo), alla velocità ebbra dell’aereo: Vogliamo delle ali!…Facciamoci dunque degli aeroplani!.
Nelle battute del brano, l’aereo è potenza, sensazione di vittoria sulla lentezza e sul legame vischioso alla terra, decollo verso il dominio del mondo futuro, promessa di nuove delizie, depurate da amori insipidi, armate di ben altre moderne e audaci lusinghe («Tu non godrai mai più di simili insipidezze… Le canne con le quali un tempo facevamo delle zampogne formano l’armatura di questo aeroplano»). Marinetti si esprime ancora, per lo più, nel linguaggio dell’arte tradizionale; pur assecondando movenze simboliste decadenti, non è infatti insensibile all’idillica meraviglia della natura celebrata da tanta lirica italiana e straniera, ma la tensione è al superamento di entrambe.
Chi scrive è come trattenuto dalle malíe di un amore antico e, contemporaneamente, sedotto dal richiamo suadente di una nuova passione; nella rappresentazione letteraria, la lotta si risolve con la conquista delle ali, ossia con la costruzione degli aerei, l’elemento risolutore che strappa l’uomo al presente, sollevandolo e proiettandolo «contro il vento», alla riscossa dal passato. È la vittoria della velocità che, come il vento, «garrisce sulle vette», superando ostacoli e contrasti.
Entro l’esaltata saga del presente lanciato verso il futuro, nel manifesto si ritrovano l’antica familiarità tra gli elementi equorei e quelli celesti («Noi ritagliammo i nostri aeroplani futuristi nella tela color d’ocra dei velieri») e la forte valenza simbolica del rapace che tanta parte ha avuto nell’interpretazione artistica dell’aspirazione umana al volo («Alcuni avevano ali equilibranti e […] s’innalzavano come avvoltoi»).
Del mito di Dedalo e Icaro i futuristi recuperano soprattutto la figura del coraggioso e geniale ingegnere costruttore; nella foga della velocità, come in quella del successo, non hanno tempo per temere la caduta, riflettere su di essa o rimpiangere lo sfortunato Icaro, del quale si valorizza la folle audacia, che Marinetti e seguaci celebrano come una delle garanzie di riuscita.

PAGINA 11

La Spezia,
10 - 15 agosto 1911

Osvaldo Peruzzi, Aeropittura, 1930

Tommaso Filippo Marinetti

Icaro

Dedalo

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Testo di: Anna Bellio, Voli di Sogno nella letteratura italiana del novecento, I.S.U. Università Cattolica, 2007

LA SPEZIA RIUNIONE AVIATORIA 1911

Dal 10 al 15 agosto, in occasione dei festeggiamenti indetti per il varo della corazzata Cavour e per il cinquantesimo anno di attività dell'arsenale, l’amministrazione comunale organizzò una riunione aviatoria dove si esibirono Detoye, Manissero e Maffeis, tre assi dell’aviazione del tempo.

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da: UCCIDIAMO IL CHIARO DI LUNA
di Filippo Tommaso Marinetti

– Vogliamo delle ali!…Facciamoci dunque degli aeroplani! – Saranno azzurri! […] azzurri, per sottrarci meglio agli sguardi del nemico, e per confonderci con l’azzurro del cielo, che, quando c’è vento, garrisce sulle vette come un’immensa bandiera! […] Noi ritagliammo i nostri aeroplani futuristi nella tela color d’ocra dei velieri. Alcuni avevano ali equilibranti e, portando i loro motori, s’innalzavano come avvoltoi insanguinati che sollevassero in cielo vitelli convulsi. Ecco: il mio è un biplano multicellulare a coda direttiva: 100HP, 8 cilindri, 80 chilogrammi…Ho fra i piedi una minuscola mitragliatrice, che posso scaricare premendo un bottone d’argento. E si parte, nell’ebbrezza di un’agile evoluzione, con un volo vivace, crepitante, leggiero e cadenzato come un canto d’invito a bere e a ballare. […] I nostri aeroplani saranno, a volta a volta, bandiere di guerra e amanti appassionate!…Deliziose amanti che nuotano, aperte le braccia, sull’ondeggiare dei fogliami, o che indugiano mollemente sull’altalena della brezza!… […] Io, intanto, sto seduto come un tessitore davanti al telaio, e vo tessendo l’azzurro serico del cielo!… Oh! quante fresche vallate, quanti monti burberi sotto di noi!… Quanti greggi di pecore rosee, sparsi sui declivi delle verdi colline che si offrono al tramonto!… Tu le amavi, anima mia!… No! No! Basta! Tu non godrai mai più disimili insipidezze… Le canne con le quali un tempo facevamo delle zampogne formano l’armatura di questo aeroplano!

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UCCIDIAMO IL CHIARO DI LUNA
di Filippo Tommaso Marinetti

– Olà! grandi poeti incendiari, fratelli miei futuristi!.... Olà! Paolo Buzzi, Palazzeschi, Cavacchioli, Govoni, Altomare, Folgore, Boccioni, Carrà, Bussolo, Balla, Severini, Pratella, D'Alba, Mazza! Usciamo da Paralisi, devastiamo Podagra e stendiamo il gran Binario militare sui fianchi del Gorisankar, vetta del mondo! Uscivamo tutti dalla città, con un passo agile e preciso, che sembrava volesse danzare cercando ovunque ostacoli da superare. Intorno a noi, e nei nostri cuori, l'immensa ebrietà del vecchio sole europeo, che barcollava tra nuvole color di vino.... Quel sole ci sbattè sulla faccia la sua gran torcia di porpora incandescente, poi crepò, vomitandosi tutto all'infinito. Turbini di polvere aggressiva; acciecante fusione di zolfo, di potassa e di silicati per le vetrate dell'Ideale!... Fusione d'un nuovo globo solare che presto vedremo risplendere! – Vigliacchi! – gridai, voltandomi verso gli abitanti di Paralisi, ammucchiati sotto di noi, massa enorme di obici irritati, già pronti per i nostri futuri cannoni. «Vigliacchi! Vigliacchi!... Perchè queste vostre strida di gatti scorticati vivi?... Temete forse che appicchiamo il fuoco alle vostre catapecchie?... Non ancora!... Dovremo pur scaldarci nell'inverno prossimo!... Per ora, ci accontentiamo di far saltare in aria tutte le tradizioni; come ponti fradici!... La guerra?... Ebbene, sì : essa è la nostra unica speranza, la nostra ragione di vivere, la nostra sola volontà!... Sì, la guerra! Contro di voi, che morite troppo lentamente, e contro tutti i morti che ingombrano le nostre strade!... « Sì, i nostri nervi esigono la guerra e disprezzano la donna, poiché noi temiamo che braccia supplici s'intreccino alle nostre ginocchia, la mattina della partenza!... Che mai pretendono le donne, i sedentari, gl'invalidi, gli ammalati, e tutti i consiglieri prudenti? Alla loro vita vacillante, rotta da lugubri agonie, da sonni tremebondi e da incubi grevi, noi preferiamo la morte violenta e la glorifichiamo come la sola che sia degna dell'uomo, animale da preda. « Vogliamo che i nostri figliuoli, seguano allegramente il loro capriccio, avversino brutalmente i vecchi e sbeffeggino tutto ciò che è consacrato dal tempo! « Questo v'indigna? Mi fischiate?... Alzate la voce!... Non ho udita l'ingiuria! Più forte! Che cosa? Ambiziosi?... Certamente! Siamo degli ambiziosi, noi, perchè non vogliamo strofinarci ai vostri fetidi velli, o gregge puzzolente, color di fango, canalizzato nelle strade antiche della Terra!... Ma «ambiziosi» non è la parola esatta! Noi siamo piuttosto dei giovani artiglieri in baldoria!... E voi dovete, anche a vostro dispetto, abituarvi al frastuono dei nostri cannoni! Che cosa dite?... Siamo pazzi?... Evviva! Ecco finalmente la parola che aspettavo!... Ah! Ah! Bellissima trovata!... Prendete con cautela questa parola d'oro massiccio, e tornatevene presto in processione, per celarla nella più gelosa delle vostre cantine! Con quella parola fra le dita e sulle labbra, potrete vivere ancora venti secoli.... Per conto mio, vi annuncio che il mondo è fradicio di saggezza!... « È perciò che noi oggi insegnamo l'eroismo metodico e quotidiano, il gusto della disperazione, per la quale il cuore dà tutto il suo rendimento, l'abitudine all'entusiasmo, l'abbandono alla vertigine.... « Noi insegnamo il tuffo nella morte tenebrosa sotto gli ocelli bianchi e fissi dell'Ideale.... E noi stessi daremo l'esempio, abbandonandoci alla furibonda Sarta delle battaglie, che, dopo averci cucita addosso una bella divisa scarlatta, sgargiante al sole, ungerà di fiamme i nostri capelli spazzolati dai proiettili.... Così appunto la calura di una sera estiva spalma i campi d'uno scivolante fulgóre di lucciole. « Bisogna che gli uomini elettrizzino ogni giorno i loro nervi ad un orgoglio temerario!... Bisogna che gli uomini giuochino d'un tratto la loro vita, senza spiare i biscazzieri bari e senza controllare l'equilibrio delle roulettes, stando chini sui vasti tappeti verdi della guerra, covati dalla fortunosa lampada del sole. Bisogna, – capite! – bisogna che l'anima lanci il corpo in fiamme, come un brulotto, contro il nemico, l'eterno nemico che si dovrebbe inventare se non esistesse!.... « Guardate laggiù, quelle spiche di grano, allineate in battaglia, a milioni.... Quelle spiche, agili soldati dalle baionette aguzze, glorificano la forza del pane, che si trasforma in sangue, per sprizzar dritto, fino allo Zenit. Il sangue sappiatelo, non ha valore né splendore, se non liberato, col ferro o col fuoco, dalla prigione delle arterie! E noi insegneremo a tutti i soldati armati della terra come il sangue debba essere versato.... Ma, prima, converrà ripulire la grande Caserma dove voi pullulate, insetti che siete!... Ci vorrà poco.... Frattanto, cimici, potete ancora tornare, per questa sera, agl'immondi giacigli tradizionali, su cui noi non vogliamo più dormire! » Mentre volgevo loro le spalle, io sentii, dal dolore della mia schiena, che troppo a lungo avevo trascinato, nella rete immensa e nera della mia parola, quel popolo moribondo, coi suoi ridicoli guizzi di pesce ammucchiato sotto l'ultima ondata di luce che la sera spingeva alle scogliere della mia fronte. 2. La città di Paralisi, col suo gridìo di pollaio, coi suoi orgogli impotenti di colonne troncate, con le sue cupole tronfie che partoriscono statuette meschine, col capriccio dei suoi fumi di sigaretta sopra bastioni puerili offerti ai buffetti.... scomparve alle nostre spalle, danzando al ritmo dei nostri passi veloci. Davanti a me, ancora distante alcuni chilometri, si delineò ad un tratto il Manicomio, alto sulla groppa di una collina elegante, che sembrava trotterellare come un puledro. – Fratelli, – diss'io – riposiamoci per l'ultima volta, prima di muovere alla costruzione del gran Binario futurista! Ci coricammo, tutti fasciati dall'immensa follia della Via Lattea, all'ombra del Palazzo dei vivi, e subito tacque il fracasso dei grandi martelli quadrati dello spazio e del tempo.... Ma Paolo Buzzi, non poteva dormire, poiché il suo corpo spossato sussultava ad ogni istante alle punture delle stelle velenose che ci assalivano da ogni parte. – Fratello! – mormorò – scaccia lontano da me codeste api che ronzano sulla rosa porporina della mia volontà! Poi si riaddormentò nell'ombra visionaria del Palazzo ricolmo di fantasia, da cui saliva la melopea cullante ed ampia della eterna gioia. Enrico Cavacchioli sonnecchiava e sognava ad alta voce: – Io sento ringiovanire il mio corpo ventenne!... Io ritorno, d'un passo sempre più infantile, verso la mia culla.... Presto, rientrerò nel ventre di mia madre!... Tutto, dunque, mi è lecito!... Voglio preziosi gingilli da rompere.... città da schiacciare, formicai umani da sconvolgere!... Voglio addomesticare i venti e tenerli a guinzaglio.... Voglio una muta di venti, fluidi levrieri, per dar la caccia ai cirri flosci e barbuti. La respirazione dei miei fratelli dormenti fingeva il sonno di un mare possente, su una spiaggia. Ma l'entusiasmo inesauribile dell'aurora traboccava già dalle montagne, tanto copiosamente la notte aveva dovunque versato profumi e linfe eroiche. Paolo Buzzi, bruscamente sollevato da quella marea di delirio, si contorse, come nell'angoscia di un incubo. – Li udite i singhiozzi della terra?... La Terra agonizza nell'orrore della luce!... Troppi soli si chinarono al suo livido capezzale! Bisogna lasciarla dormire!... Ancora! Sempre!.. Datemi delle nuvole, dei mucchi di nuvole, per coprire i suoi occhi e la sua bocca che piange! A queste parole il Sole ci porse dall'estremità dell'orizzonte, il suo tremulo e rosso volante di fuoco. – Alzati, Paolo! – gridai allora. – Afferra quella ruota!... Io ti proclamo guidatore del mondo!... Ma, ahimè, noi non potremo bastare al gran lavoro del Binario futurista! Il nostro cuore è ancora pieno di un ciarpame immondo: code di pavoni, pomposi galli di banderuole, leziosi fazzoletti profumati!... E non abbiamo ancora scacciate dal nostro cervello le lugubri formiche della saggezza.... Ci vogliono dei pazzi!... Andiamo a liberarli! Ci avvicinammo alle mura imbevute di gioia solare, costeggiando una sinistra vallata, ove trenta gru metalliche sollevano stridendo, dei vagoncini pieni d'una biancheria fumigante, inutile bucato di quei Puri, lavati già da ogni sozzura di logica. Due alienisti comparvero, categorici, sulla soglia del Palazzo. Io non avevo fra le mani che uno smagliante fanale d'automobile; e fu col suo manico di lucido ottone che inculcai loro la morte. Dalle porte spalancate, pazzi e pazze scamiciati, seminudi, eruppero a migliaia, torrenzialmente, così da ringiovanire e ricolorare il volto rugoso della Terra. Alcuni vollero subito brandire, come bastoni d'avorio, i campanili lucenti; altri si misero a giuocare al cerchio con delle cupole.... Le donne pettinavano le loro lontane capigliature di nuvole con le acute punte di una costellazione. – O pazzi, o fratelli nostri amatissimi, seguitemi!... Noi costruiremo il Binario sulle cime di tutte le montagne, fino al mare! Quanti siete?... Tremila?... Non basta! D'altronde la noia e la monotonia troncheranno in breve il vostro bello slancio.... Corriamo a domandar consiglio alle belve dei serragli accampati alle porte della Capitale. Sono gli esseri più vivi, i più sradicati, i meno vegetali! Avanti!... A Podagra! A Podagra!... E partimmo, scarica formidabile di una chiusa immane. L'esercito della follia si avventò di pianura in pianura, colò per le valli, ascese rapido alle cime, con lo slancio fatale e facile d'un liquido entro enormi vasi comunicanti, e infine mitragliò di grida, di fronti e di pugni le mura di Podagra che risuonò come una campana. Dopo avere ubbriacati, uccisi o calpestati i guardiani, la gesticolante marea inondò l'immenso corridoio melmoso del serraglio, le cui gabbie, piene di velli danzanti ondeggiavano nel vapore delle urine selvatiche e oscillavano più leggiere che gabbie di canarini fra le braccia dei pazzi. Il regno dei leoni ringiovanì la Capitale. La ribellione delle criniere e il voluminoso sforzo delle groppe inarcate a leva scolpivano le facciate. La loro forza di torrente, scavando il selciato, trasformò le vie in altrettanti tunnel dalle vôlte scoppiate. Tutta la tisica vegetazione degli abitanti di Podagra fu infornata nelle case, le quali, piene di rami urlanti, tremavano sotto la impetuosa grandinata di sgomento che crivellava i tetti. Con bruschi slanci e con lazzi da clowns, i pazzi inforcavano i bei leoni indifferenti, che non li sentivano, e quei bizzarri cavalieri esultavano ai tranquilli colpi di coda che ad ogni istante li gettavano a terra.... Ad un tratto, le belve si arrestarono, i pazzi tacquero, davanti alle mura che non si muovevano più.... – I vecchi son morti! .... I giovani sono fuggiti!.... Meglio così!... Presto! Siano divelti i parafulmini e le statue!... Saccheggiamo gli scrigni colmi d'oro!... Verghe e monete!... Tutti i metalli preziosi saranno fusi, pel gran Binario militare!... Ci precipitammo fuori, coi pazzi gesticolanti e le pazze scarmigliate, coi leoni, le tigri e le pantere cavalcate a nudo da cavalieri che l'ebbrezza irrigidiva contorceva ed esilarava freneticamente. Podagra non fu più che un immenso tino, pieno di un rosso vino dai gorghi spumosi, che colava veemente dalle porte, i cui ponti levatoi erano imbuti trepidanti e sonori.... Attraversammo le rovine dell'Europa ed entrammo nell'Asia, sparpagliando lontano le orde terrorizzate di Podagra e di Paralisi, come i seminatori gettano la semente con un gran gesto circolare. 3. A notte piena, eravamo quasi in cielo, su l'altipiano persiano, sublime altare del mondo, i cui gradini smisurati portano popolose città. Allineati all'infinito lungo il Binario ansavamo su crogiuoli di barite, di alluminio e di manganese, che a quando a quando spaventavano le nuvole con la loro esplosione abbagliante; e ci sorvegliava, in cerchio, la maestosa ronda dei leoni che, erette le code, sparse al vento le criniere, foravano il cielo nero e profondo coi loro ruggiti tondi e bianchi. Ma, a poco a poco, il lucente e caldo sorriso della luna traboccò dalle nuvole squarciate. E, quando ella apparve infine, tutta grondante dell'inebriante latte delle acacie, i pazzi sentirono il loro cuore staccarsi dal petto e salire verso la superficie della liquida notte. Ad un tratto, un grido altissimo lacerò l'aria; un rumore si propagò, tutti accorsero... Era un pazzo giovanissimo, dagli occhi di vergine, rimasto fulminato sul Binario. Il suo cadavere fu subito sollevato. Egli teneva fra le mani un fiore bianco e desioso, il cui pistillo s'agitava come una lingua di donna. Alcuni vollero toccarlo, e fu male, poiché rapidamente, con la facilità di un'aurora che si propaga sul mare, una verdura singhiozzante sorse per prodigio dalla terra increspata di onde inattese. Dal fluttuare azzurro delle praterie, emergevano vaporose chiome d'innumerevoli nuotatrici, che schiudevano sospirando i petali delle loro bocche e dei loro occhi umidi. Allora, nell'inebbriante diluvio dei profumi, vedemmo crescere distesamente intorno a noi una favolosa foresta, i cui fogliami arcuati sembravano spossati da una brezza troppo lenta. Vi ondeggiava una tenerezza amara.... Gli usignuoli bevevano l'ombra odorosa con lunghi gorgoglìi di piacere, e a quando a quando scoppiavano a ridere nei cantucci giocando a rimpiattino come fanciulli vispi e maliziosi. Un sonno soavissimo vinceva lentamente l'esercito dei pazzi, che si misero a urlare dal terrore. Irruenti, le belve si precipitarono a soccorrerli. Per tre volte, stretti in gomitoli balzanti, e con assalti uncinati di rabbia esplosiva, le tigri caricarono gli invisibili fantasmi di cui ribolliva la profondità di quella foresta di delizie.... Finalmente, fu aperto un varco: enorme convulsione di fogliami feriti, i cui lunghi gemiti svegliarono i lontani echi loquaci appiattati nella montagna. Ma, mentre ci accanivamo, tutti, a liberar le nostre gambe e le nostre braccia dalle ultime liane affettuose, sentimmo a un tratto la Luna carnale, la Luna dalle belle coscie calde, abbandonarsi languidamente sulle nostre schiene affrante. Si udì gridare nella solitudine aerea degli altipiani : – Uccidiamo il chiaro di Luna! Alcuni accorsero alle cascate vicine: gigantesche ruote furono inalzate, e le turbine trasformarono la velocità delle acque in magnetici spasimi che s'arrampicarouo a dei fili, su per alti pali, fino a dei globi luminosi e ronzanti. Fu così che trecento lune elettriche cancellarono coi loro raggi di gesso abbagliante l'antica regina verde degli amori. E il Binario militare fu costruito. Binario stravagante che seguiva la catena delle montagne più alte e sul quale si slanciarono tosto le nostre veementi locomotive impennacchiate di grida acute, via da una cima all'altra, gettandosi in tutti i precipizi e arrampicandosi dovunque, in cerca di abissi affamati, di svolti assurdi e d'impossibili zig-zag.... Tutt'intorno, da lontano, l'odio illimitato segnava il nostro orizzonte irto di fuggiaschi.... Erano le orde di Podagra e di Paralisi, che noi rovesciammo nell'Indostan. 4. Accanito inseguimento.... Ecco scavalcato il Gange! Finalmente il soffio impetuoso dei nostri petti fugò davanti a noi le nuvole striscianti, dagli avvolgimenti ostili, e noi scorgemmo all'orizzonte i sussulti verdastri dell'Oceano Indiano, a cui il sole metteva una fantastica museruola d'oro.... Sdraiato nei golfi di Oman e del Bengala, esso preparava perfidamente l'invasione delle terre. All'estremità del promontorio di Cormorin, orlato di una poltiglia di ossami biancastri, ecco l'Asino colossale e scarno la cui groppa di cartapecora grigiastra fu incavata dal peso delizioso della Luna.... Ecco l'Asino dotto, dal membro prolisso rammendato di scritture, che raglia da tempo immemorabile il suo rancore asmatico contro le brume dell'orizzonte, dove tre grandi vascelli s'avanzano immobili, con le loro velature simili a colonne vertebrali radiografate. Subito, l'immensa mandra delle belve cavalcate dai pazzi protese sui flutti musi innumerevoli, sotto il turbinio delle criniere che chiamavano l'Oceano alla riscossa. E l'Oceano rispose all'appello, inarcando un dorso enorme e squassando i promontori prima di prender lo slancio. Esso provò lungamente la propria forza, agitando le anche e ripiegando il ventre sonoro fra le sue vaste fondamenta elastiche. Poi, con un gran colpo di reni, l'Oceano potè sollevare la propria massa e sormontò la linea angolosa delle rive.... Allora, la formidabile invasione cominciò. Noi marciavamo nell'ampio accerchiamento delle onde scalpitanti, grandi globi di schiuma bianca che rotolavano e crollavano, docciando le schiene dei leoni.... Questi, allineati in semicerchio intorno a noi, prolungavamo da ogni parte le zanne, la bava sibilante e gli urli delle acque. Talvolta, dall'alto delle colline, guardavamo l'Oceano gonfiare progressivamente il suo profilo mostruoso, come un'immensa balena che si spingesse innanzi su un milione di pinne. E fummo noi che lo guidammo così fino alla catena dell'Imalaia, aprendo, come un ventaglio, il formicolìo delle orde in fuga che volevamo schiacciare contro i fianchi del Gorisankar. – Affrettiamoci, fratelli miei!.... Volete dunque che le belve ci sorpassino? Noi dobbiamo rimanere in prima fila malgrado i nostri lenti passi che pompano i succhi della terra.... Al diavolo queste mani vischiose e questi piedi che trascinano radici!... Oh! noi non siamo che poveri alberi vagabondi! Vogliamo delle ali!.... Facciamoci dunque degli aeroplani. – Saranno azzurri! – gridarono i pazzi – azzurri, per sottrarci meglio agli sguardi del nemico, e per confonderci con l'azzurro del cielo, che, quando c'è vento, garrisce sulle vette come un'immensa bandiera. E i pazzi rapirono mantelli turchini alla gloria dei Budda, nelle antiche pagode, per costruire le loro macchine volanti. Noi ritagliammo i nostri aeroplani futuristi nella tela color d'ocra dei velieri. Alcuni avevano ali equilibranti e portando i loro motori, s'inalzavano come avoltoi insanguinati che sollevassero in cielo vitelli convulsi. Ecco : il mio biplano multicellulare a coda direttiva: 100 IIP, 8 cilindri, 80 chilogrammi... Ho fra i piedi una minuscola mitragliatrice, che posso scaricare premendo un bottone d'acciaio.... E si parte, nell'ebbrezza di un'agile evoluzione, con un volo vivace, crepitante, leggiero e cadenzato come un canto d'invito a bere e a ballare. – Urrà! Siam degni finalmente di comandare il grande esercito dei pazzi e delle belve scatenate!... Urrà! Noi dominiamo la nostra retroguardia: l'Oceano col suo avviluppamento di schiumanti cavallerie!... Avanti, pazzi, pazze, leoni, tigri, e pantere! Avanti, squadroni di flutti!... I nostri aeroplani saranno per voi, a volta a volta, bandiere di guerra e amanti appassionate! Deliziose amanti che nuotano, aperte le braccia, sull'ondeggiar dei fogliami, o che indugiano mollemente sull'altalena della brezza!... Ma guardate lassù, a destra, quelle spole azzurre.... Sono i pazzi, che cullano i loro monoplani sull' amaca del vento del sud!.... Io intanto, sto seduto come un tessitore davanti al telaio e vo tessendo l'azzurro serico del cielo!.... Oh! quante fresche vallate, quanti monti burberi, sotto di noi!... Quanti greggi di pecore rosee, sparsi sui declivi delle verdi colline che si offrono al tramonto!.... Tu le amavi, anima mia!... No! No! Basta! Tu non godrai più, mai più, di simili insipidezze!... Le canne colle quali un tempo facevamo delle zampogne formano l'armatura di questo aeroplano!... Nostalgia! Ebbrezza trionfale!... Presto avremo raggiunti gli abitanti di Podagra e di Paralisi, poiché voliamo rapidi ad onta delle raffiche avverse.... Che dice l'anemometro?... Il vento che ci è contrario ha una velocità di cento chilometri all'ora!... Che importa? Io salgo a duemila metri, per sorpassare l'altipiano.... Ecco! Ecco le orde!... Là, là, davanti a noi, e già sotto ai nostri piedi!... Guardate, laggiù, a picco, fra gli ammassi di verdura, la tumultuante follia di quel torrente umano, che s'accanisce a fuggire!... Questo fracasso?... È lo schianto degli alberi! Ah! Ah! Le orde nemiche sono ormai cacciate contro l'alta muraglia del Gorisankar!... E noi diamo loro battaglia!.... Udite! Udite i nostri motori come applaudono?... Olà, grande Oceano Indiano, alla riscossa! L'Oceano ci seguiva solennemente, atterrando le mura delle città venerate e gettando di sella le torri illustri, vecchi cavalieri dall'armatura sonora, crollati giù dagli arcioni marmorei dei templi. – Finalmente! Finalmente! Eccoti dunque davanti a noi, gran popolo formicolante di Podagrosi e di Paralitici, lebbra schifosa che divora i bei fianchi della montagna... Poi voliamo rapidi contro di voi, fiancheggiati dal galoppo dei leoni, nostri fratelli, e abbiamo alle spalle l'amicizia minacciosa dell'Oceano, che ci segue da vicino por impedire che s'indietreggi!... È soltanto una precauzione, poiché non vi temiamo!... Ma voi siete innumerevoli!.... E potremmo esaurire le nostre munizioni, invecchiando durante la carneficina!... Io regolerò il tiro!... L'alzo a ottocento metri! Attenti!... Fuoco!... Oh! l'ebbrezza di giocare alle biglie della Morte!... E voi non potrete carpircele!... Indietreggiate ancora? Questo altipiano sarà presto superato!... Il mio aeroplano corre sulle sue ruote, scivola sui pattini e s'alza a volo di nuovo!... Io vado contro il vento!.... Bravissimi, i pazzi!... Continuate il massacro!.... Guardate! Io tolgo l'accensione e calo giù tranquillamente, a volo librato, con magnifica stabilità, per toccar terra dove più ferve la mischia! « Ecco la furibonda còpula della battaglia, vulva gigantesca irritata dalla foia del coraggio, vulva informe che si squarcia per offrirsi meglio al terrifico spasimo della vittoria imminente! È nostra, la vittoria.... ne sono sicuro, poiché i pazzi lanciano già al cielo i loro cuori, come bombe!...: L'alzo a cento metri! ... Attenti!... Fuoco!... Il nostro sangue?... Sì! Tutto il nostro sangue, a fiotti, per ricolorare le aurore ammalate della Terra!... Sì, noi sapremo riscaldarti fra le nostre braccia fumanti, o misero Sole, decrepito e freddoloso, che tremi sulla cima del Gorisankar!..

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FILIPPO TOMMASO MARINETTI
1876-1944

Filippo Tommaso Marinetti, nato ad Alessandria d’Egitto nel 1876, costituisce una sorta di figura simbolo nel clima d’avanguardia novecentesco. Strettamente a contatto con la cultura parigina del periodo, orienta la propria attività letteraria verso un’edificazione della cultura rinnovata. Sceglie un prestigioso giornale di Parigi, Le Figaro, per lanciare, nel 1909, il Manifesto del Futurismo, che sancisce in modo ufficiale la nascita del movimento stesso. Propone un rifiuto radicale del passato, servendosi delle tecniche più evolute come la réclame, la diffusione editoriale, non senza fare appello, in alcuni casi, a provocazioni e scandali. Attivo politicamente, è difensore di un’ideologia individualistica e antidemocratica, della quale vede una possibile realizzazione nella politica fascista. E però dai suoi scritti che emerge la spinta innovativa. Nel Manifesto tecnico della Letteratura Futurista del 1912, le critiche sono rivolte ai valori tradizionali, alla poetica corrente, giudicata sentimentale e nostalgica. Per lui i nuovi capisaldi sono la tecnologia ed il progresso, la città, la velocità. Meno noti ma non per questo meno importanti sono gli altri manifesti futuristi redatti da lui stesso o grazie alla sua collaborazione, si possono citare il Manifesto della Danza, Il Manifesto della Politica. Curioso è il fatto che Marinetti si occupi anche di arte culinaria, nel suo “La cucina futurista”. Si spegne a Bellagio (Como), nel 1944. Sono notevoli le influenze del poeta sugli autori novecenteschi, da Palazzeschi a Pirandello, fino ai giorni nostri. La rete offre numerosi siti sul letterato futurista, la ricerca dovrà essere eseguita selezionando quelli più interessanti, per evitare di incorrere in disinformazione e banalità. I siti rintracciabili puntano la loro attenzione sui Manifesti redatti dal poeta, mentre la trattazione delle altre sue opere non è ancora molto sviluppata. (da: www.letteratura.it)

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ICARO

Mitico figlio di Dedalo e di Naucrate, schiava di Minosse. Rinchiuso con il padre nel labirinto di Creta, fuggì volando con le ali che Dedalo aveva adattato con la cera al proprio corpo e a quello del figlio. Ma, avvicinatosi troppo al Sole, la cera si sciolse e Icaro cadde nel mare che da lui fu detto Icario. Secondo un’altra versione, Dedalo era fuggito da Atene, dopo aver ucciso per gelosia d’arte il nipote Talo, e Icaro, anch’egli bandito, si mise alla sua ricerca, ma fece naufragio presso Samo (e il mare prese nome da lui) e il suo corpo, rigettato sulla spiaggia dell’isola di Icaria, fu sotterrato da Eracle. Icaro talvolta è detto inventore dei lavori in legno. (www.treccani.it)

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DEDALO

Dedalo, era nato ad Atene ed era pronipote di Eretteo, re della città. Si dedicò alla scultura e all'architettura, era abilissimo in ciò che faceva; si narra che le sue statue sembravano vive a tal punto da raccontare che esse aprivano gli occhi e si muovevano. A Dedalo sono attribuite le invenzioni dell'ascia, la sega, il trapano, il passo della vite, l'archipenzolo. E' stato maestro di suo nipote Talo, figlio di una sua sorella, che uccise per gelosia quando Talo superò il maestro nella sua arte. L'Areopago, il tribunale, lo condannò all'esilio perpetuo; Dedalo si rifugiò a Creta dove fu accolto benevolmente dal re Minosse che gli commissionò il Labirinto per rinchiudere il Minotauro. A Dedalo, si rivolse Arianna, la figlia di Minosse, per sapere come aiutare Teseo a uccidere il Minotauro e uscire dal Labirinto, e come sappiamo il consiglio del filo riuscì a far trinofare Teseo nell'impresa. Quando Minosse venne a sapere che ad aiutare sua figlia e Teseo fu Dedalo, e non potendo prendersela con la figlia fuggita insieme all'eroe, pensò di punire Dedalo, rinchiudendolo insieme al figlio, Icaro, nel Labirinto, che egli stesso aveva progettato. L'unico modo per uscire dal Labirinto era evadere volando; ingegnoso come era, Dedalo costruì due paia di ali, uno per sè e l'altro per il figlio. Si raccomandò con Icaro di restargli sempre dietro durante il volo, di non strafare e soprattutto di stare attento a non avvicinarsi troppo ai raggi del sole perchè, le ali, attaccate alle spalle con della cera, potevano staccarsi in quanto il calore avrebbe sciolto la cera. Come non detto, Icaro durante il volo, provando piacere si allontanò dal padre e raggiunse i raggi del sole che sciolsero la cera e lo fecero precipitare nel mare, dove morì. Dedalo triste e desolato, atterrò in Campania a Cuma, dove costruì un tempio al dio Apollo, consegnando le ali che aveva inventato per evadere dal Labirinto di Creta.

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