Con Partenza d'Aeroplani sembra scherzare, Saba, prende in effetti le distanze dall’euforia che lo circonda. Ammira, ma non riesce a identificare l’uomo con la macchina e in tono scanzonato scrive A un aviatore; rivolgendosi al pilota gli ricorda una difficoltà per certi aspetti insormontabile:guarda e scrive:
Vai con macchina in alto, sì, ma ignoto resta il gaudio del volo.
Non può chi va in barchetta dire: Io nuoto
Nel concludere il suo scherzo, il poeta è malizioso per non dire maligno: il riduttivo «barchetta» dice già tutto. Spiegano, in parte, l’atteggiamento di Saba questi altri versi da Tutto il mondo nelle Poesie scritte durante la guerra nel Canzoniere apocrifo. Si tratta d’una confessione sincera e provocatoria insieme. Certo il triestino ha il gran dono della poesia, ma essa si nutre di silenzio e insieme d’«ozio». Orgogliosamente consapevole di questo, egli non cura altra fama se non quella che può venirgli dai versi, che soli, peraltro, come scrive in varie occasioni, lo fanno «beato». Pur ‘sorvolando’ sulla classica metafora poesia-volo, accennata dalle «ali» che aprono il terzo verso, non si può tacere la lettura quanto mai originale e divertita che ne dà Umberto Saba in una poesia della raccolta Cose leggere e vaganti. La scarsa simpatia per l'ardita aviazione è spiegata da Saba anche in un altro componimento ..
Il destino volle comunque che proprio alle officine Caproni Umberto Saba trovasse occupazione dopo la guerra; nella sua poesia ci sono tracce anche di tale esperienza: Con un certo distacco il sonetto, che si chiude su un ripiegamento interiore tutto personale sotto il fragore degli aerei, racconta l’intensa laboriosità delle officine aperte per la costruzione delle nuove macchine, tra le quali si riconoscono già diversi modelli: oltre ai Caproni, volano Bleriot, Voisin di Rouger, Cagno, Anzani, Cobianchi. A un aviatore s’intitola anche una poesia futurista di Libero Altomare che ci riporta nel clima esaltante ed esaltato dell’aeropoesia che non intende attardarsi su dubbiose prudenze e che veste d’impeto guerresco le immagini.
Ardengo Soffici scrive Aeroplano ; una fantasmagoria di parole colori suoni, a volte ironica, un pò filosofica con assaggi culturali e concessioni al contemporaneo culto della guerra. Tra gli anni Venti e Trenta la poetica futurista della simultaneità e del dinamismo si afferma in ogni genere artistico. In poesia si proclamano le parole in libertà, la fine della sintassi, dell’aggettivo, dei segni d’interpunzione, l’uso del verbo all’infinito. Il flusso ininterrotto di analogie sull’onda dell’«immaginazione senza fili» è un ‘volo’ continuo di percezioni sensoriali, tattili, visive, uditive, olfattive, mentali.

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PAGINA 14

Lugano,
23 - 24 settembre 1911

Alessandro Bruschetti, Aeropaesaggio, 1932

Umberto Saba

Libero Altomare

Ardengo Soffici

Giovanni Battista Caproni

Alessandro Umberto Cagno

Mario Cobianchi

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Testo di: Anna Bellio, Voli di Sogno nella letteratura italiana del novecento, I.S.U. Università Cattolica, 2007

GIORNATE DI AVIAZIONE DI LUGANO 1911

Il 24-25 settembre 1911, al Campo Marzio si tennero le prime giornate dell’aviazione di Lugano. La manifestazione fu finanziata con il generoso contributo degli esercenti e dei proprietari degli alberghi luganesi. Alle giornate partecipò il celebre aviatore Georges Legagneux, all’epoca ventottenne, che si esibì su un monoplano Blériot, un velivolo con un’apertura alare di quasi 6 metri e un peso di circa 250 kg. Vi partecipò inoltre il pilota Attilio Maffei, anch'egli su monoplano Bleriot.

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UMBERTO SABA 1883 - 1912

Poeta del XX secolo, Saba nacque il 9 Marzo 1883 a Trieste, da madre ebrea e padre cristiano. La mancanza della figura paterna costrinse la madre ad affidare il bambino alla contadina slovena Peppa Sabbaz; egli fu subito conquistato dal carattere estroverso, allegro ed espansivo della nutrice, che lo portò ad allontanarsi dalla figura della madre causando in lui il disagio di un’ambivalenza affettiva che lo tormentò per tutta la vita. Il cognome d’arte Saba, che il poeta assunse dopo i precedenti Chopin e Umberto di Montereale, sembra fosse legato al forte ricordo della nutrice; mentre altri lo attribuirebbero alla parola ebraica che indica il "pane". Nel periodo di produzione dell’autore, a Trieste, unico porto dell’Impero Austro-Ungarico, circolavano tre lingue: il tedesco, il dialetto, lingua maggiormente in uso, e l’italiano, che faceva parte di una tradizione letteraria alta alla quale Saba aderì con una poetica semplice e originale che si allontanava dalle correnti dominanti del tempo. Tutti gli aspetti della vita giornaliera e della sua stessa vita entrano nella sua poesia attraverso parole domestiche, le prime venute, "parole senza storia",e quindi scelte per la loro concreta oggettività. La donna amata è per lui una sorta di appoggio concreto nella vita di tutti i giorni, Trieste rappresenta invece l’espressione del suo stato d’animo. Di Saba possiamo dire che egli si rende compartecipe dei sentimenti da lui espressi nelle sue stesse poesie; egli è infatti legato a ciò che racconta da una forte affettuosità, che fonde un premeditato oggettivismo con una spontanea soggettività. Il giudizio della critica sull’opera di questo poeta fu inizialmente perplesso, soprattutto a causa dei suoi versi, giudicati apparentemente poco dotati di freschezza ed originalità. Oggi Saba, compreso al di fuori degli schemi dell’epoca, viene considerato uno dei più grandi poeti del Novecento italiano.

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LIBERO ALTOMARE (REMO MANNONI) 1883 - 1966

Poeta, nato il 9 agosto 1883 a Roma, dove è morto il 3 agosto 1966. Incluso da F.T. Marinetti nella antologia I poeti futuristi (1912). Suoi scritti: Rime dell'Urbe e del suburbio, 1908; Procellarie, 1909; Fermento, 1931; Incontri con Marinetti e il futurismo, 1954

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ARDENGO SOFFICI 1879 - 1964

di un avvocato fiorentino. A questo periodo risalgono i contatti di Soffici con un ristretto gruppo di giovani artisti che si muovevano intorno all'Accademia delle Arti e alla Scuola del Nudo, dove erano maestri Giovanni Fattori e Telemaco Signorini. Attraverso la pittura giunge quindi nel mondo della cultura e come autodidatta diviene scrittore. E' uno dei primi intellettuali italiani a trasferirsi a Parigi, per entrare in contatto con le correnti più innovative del periodo. Negli anni tra il 1899 e il 1907 vive quindi nella capitale francese. Qui lavora come illustratore: è malpagato e conduce una vita di stenti e rinunce. Ha tuttavia la possibilità di incontrare sia artisti emergenti che già affermati come Guillaume Apollinaire, Pablo Picasso e Max Jacob. Importanti sono inoltre gli incontri con artisti e scrittori italiani quali Giovanni Vailati, Mario Calderoni e Giovanni Papini; con quest'ultimo Soffici stringerà, al ritorno in Italia, una forte amicizia, nonostante la diversità di carattere. Torna quindi in Italia e partecipa al movimento della rivista "Leonardo". Nel 1910 ritorna a Parigi dove viene a conoscenza dell'opera di Arthur Rimbaud, poeta allora quasi ignoto in Italia: nel 1911 pubblicherà nei Quaderni de "La Voce" una monografia su di lui. Sempre su "La Voce" Soffici è protagonista di un violento attacco al Futurismo; diventerà poi un seguace di Marinetti, cogliendo per la propria produzione poetica la sua retorica e la tecnica dell'analogia. In "Lacerba", rivista - il cui primo numero esce il giorno 1 gennaio 1913 - che fonda assieme a Papini, si batte, anche con la produzione di opere pittoriche, per la riduzione del Futurismo e Cubismo. Ardengo Soffici partecipa come volontario alla prima guerra mondiale. Nel dopoguerra è uno dei più decisi fautori del ritorno all'ordine: si accampa su posizioni contrassegnate da deciso sciovinismo culturale, dalla esaltazione dei modelli classici (soprattutto il Quattrocento italico) e da scelte tematiche con forti accenti giornalistici.

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GIOVANNI BATTISTA CAPRONI 1886 -1957

Giovanni Battista Caproni nasce a Massone di Arco il 3 luglio 1886, da Giuseppe, geometra e agrimensore, e da Paolina Maini. Compiuta l’istruzione elementare, il giovane Gianni frequenta la Scuola Reale Elisabettina di Rovereto, per poi iscriversi al Politecnico di Monaco di Baviera dove si laurea ingegnere civile a Monaco il 10 agosto 1908. Dopo questo traguardo si trasferisce a Liegi per frequentare un corso in elettrotecnica e ne esce il 31 ottobre 1909, lì incontra il rumeno Coanda, appassionato di studi aviatori. Dopo la formazione scolastica compie viaggi a Parigi alla ricerca di finanziatori e contatti internazionali per il suo obiettivo primario, la costruzione del suo primo aereo. Rientra ad Arco nel 1909 ed inizia la costruzione del suo primo biplano, con l’aiuto del fratello Federico e di alcuni artigiani del luogo. Questo prototipo, in seguito battezzato Ca.1, vola per la prima volta il 27 maggio 1910, presso la Cascina Malpensa, nella brughiera di Somma Lombardo. Dopo il trasferimento dell’attività nella vicina Vizzola Ticino, alla fine del 1910, inizia per Caproni un triennio di serie difficoltà economiche che imposero diverse modifiche della ragione sociale dell’azienda e infine, nel 1913, la vendita delle officine allo Stato. Tuttavia, l’attività di questi primi anni fu caratterizzata da uno straordinario fervore di costruzioni e dalla transizione dalla formula biplana a quella monoplana. Restano, a testimonianza di questo periodo, il biplano Ca.6 e il monoplano Ca.9, entrambi esposti presso il Museo dell’Aeronautica Gianni Caproni. Nel biennio 1913-14, Caproni porta a termine i progetti per un bombardiere strategico biplano trimotore, che sembrava tradurre nella realtà le altrettanto preveggenti dottrine sul dominio aereo formulate negli stessi anni da Giulio Douhet, allora Comandante del Battaglione Aviatori. Le commesse militari giunte per la costruzione di mezzi come questo, a partire dall’ingresso dell’Italia in guerra nel 1915, richiesero l’ampliamento delle officine di Vizzola e la costruzione di quelle di Taliedo, presso Milano. Ne derivò una massiccia fornitura di bombardieri biplani e triplani che, con il progredire degli eventi bellici, orientò sempre più l’utilizzo del mezzo aereo in senso strategico, influendo in misura significativa sull’esito del conflitto per l’Italia. Al termine della Grande Guerra venne imposta la riconversione della produzione bellica per impieghi civili, in particolare, orientandola al trasporto passeggeri: fra gli esiti più originali in questo ambito, merita senz’altro una citazione il gigantesco e profetico progetto del Ca.60 “Transaereo”, concepito per collegare le due sponde dell’oceano. Il Museo dell’Aeronautica Gianni Caproni conserva gli unici pezzi giunti fino a noi di del gigantesco prototipo destinato a trasportare cento passeggeri seduti. Gli anni Venti segnano la ripresa dell’Azienda, grazie a nuove commesse statali, e il passaggio dalle strutture in legno a quelle in tubi saldati. Sono gli anni in cui Caproni avvia un sistema di produzione e distribuzione che dall’Italia si allarga a diverse filiali estere, fra cui quelle negli Stati Uniti e in Bulgaria. L’azienda diviene quel “Gruppo Caproni” di cui sarebbero entrati a far parte, negli anni Trenta, marchi gloriosi come la “Isotta Fraschini”, le “Officine Meccaniche Italiane Reggiane” e i “Cantieri Aeronautici Bergamaschi”, arrivando a contare diverse decine di migliaia di dipendenti. L’enorme produzione di aeroplani Caproni di quel periodo spazia dai giganteschi bombardieri (quale il Ca.90), ai mezzi da trasporto, appoggio e soccorso sanitario, fino ai piccoli aeroplani da turismo e addestramento dei quali il Ca.100 è senz’altro il più famoso: uno splendido “Caproncino” idrovolante è oggi esposto all’ingresso della sala espositiva del Museo di Trento. Vanno poi ricordati i molteplici interventi promossi dall’industriale trentino a sostegno dell’economia nella sua terra natale, come il grande stabilimento aeronautico sorto a Gardolo di Trento alla fine degli anni Trenta e la sua succursale di Arco, dove Caproni aveva aperto negli anni precedenti una scuola per operai meccanici e un calzaturificio. L’entrata dell’Italia nella Seconda guerra mondiale, alla quale Caproni è nettamente avverso, costringe ad un importante accrescimento dell’attività a scopi bellici. Si presentano ulteriori esempi dell’eccellenza della produzione aeronautica del gruppo, una fra tutti la serie di caccia nati dalle “Officine Reggiane”, dei quali sopravvivono oggi pochissimi esemplari. Il Museo dell’Aeronautica Gianni Caproni conserva l’unico caccia Reggiane RE.2000 (in prestito da Aeronautica Militare) ed espone la parte posteriore della fusoliera di un Reggiane RE.2005, unico frammento rimasto al mondo del famoso “Sagittario”. La guerra vide la distruzione sotto i bombardamenti alleati di diversi stabilimenti e, dopo l’armistizio del 1943, le requisizioni delle truppe tedesche, cui Caproni cerca in ogni modo di opporsi difendendo maestranze e impianti dalla deportazione. Nonostante questi meritori sforzi, il gruppo industriale non si risolleverà più dalle macerie del conflitto. Nel 1946, Gianni Caproni esce pienamente assolto da una denuncia per collaborazionismo, ma le conseguenze del procedimento interferiscono negativamente sulla riconversione del sistema produttivo.

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ALESSANDRO UMBERTO CAGNO 1883 -1971

Appena un anno prima Filippo Tommaso Marinetti aveva lanciato la sua parola d'ordine «Uccidiamo il chiaro di luna a Venezia» per «preparare la nascita di una Venezia industriale e militare». Appello raccolto il 19 febbraio del 1911, dal piemontese Umberto Cagno, che fece sentire per la prima volta ai veneziani il ronzio di un aereo sopra le loro teste. Fu un breve volo sopra la laguna, bissato i successivi 2 e 6 marzo quando l'intrepido aviatore sorvolò per due volte il centro storico. Giusto cento anni fa dunque Venezia faceva il suo ingresso in quella modernità fatta di macchine e motori invocata dal poeta che nel 1909 aveva proclamato la fine degli orpelli decadentisti e liberty, dettando il Manifesto del Futurismo: «Chiudere i ponti col passato, distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d'ogni specie» e cantare «le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa; glorificare la guerra, sola igiene del mondo, il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore del libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna». Nel 1910 Marinetti fu protagonista del lancio di manifesti dal campanile per chiedere di «colmare i piccoli canali puzzolenti con le macerie dei vecchi palazzi crollanti e lebbrosi». E uccidere il chiaro di luna. E l'anno dopo ecco arrivare Umberto Cagno, pioniere dell'automobilismo prima e dell'aviazione poi. Nato il 2 maggio 1883 a Torino, entrò adolescente nelle prime officine che assemblavano motori a scoppio, diventando ben presto un provetto pilota, portando al successo in innumerevoli competizione le prime vetture uscite dagli stabilimenti della neonata Fiat. Dalle auto agli aerei il passo fu breve e nell'inverno 1910/1911 lo troviamo al Lido per organizzare la grande sfida. Sponsor, come diremo oggi, dell'evento la Compagnia italiana grandi alberghi, proprietaria dell'Excensior che volle organizzare un'impresa di cui parlasse il mondo per lanciare il suo prestigioso hotel di lusso e la spiaggia del Lido. Per l'impresa venne scelto il biplano francese Farman II, fatto arrivare a pezzi, via terra e via mare, e rimontato proprio sulla terrazza del grande albergo. Il velivolo una volta montato venne fatto scivolare con delle guide di legno fino al bagnasciuta da dove iniziò l'avventura di Cagno. Il velivolo volteggio a lungo sopra la laguna per rientrare poi alla base. Il 2 marzo l'impresa fu ripetuta sorvolando questa volta il centro storico. E bissata ancora il 6 marzo per chiudere degnamente il Carnevale

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MARIO COBIANCHI
1885-1944

Mario Cobianchi nacque a Bologna l’8 aprile 1885 da una famiglia agiata, il padre era titolare di una avviata fabbrica di liquori. Intrapresi gli studi per maestro di violino, fu ben presto pervaso da una gran voglia di provare tutte le novità tecnologiche che l’inizio del secolo stava offrendo copiosamente. Iniziò a partecipare alle corse ciclistiche, poi passò al motociclismo, quindi alle ascensioni aerostatiche, brevettandosi nel 1907 “pilota di aerostato”. Cominciò anche a correre in automobile recandosi negli Stati Uniti dove potè assistere ad alcune prove di volo dei fratelli Wright nel North Carolina. Ne rimase così entusiasta che, al suo rientro in Italia, volle dedicarsi alla costruzione in proprio di macchine volanti. Il suo primo aeroplano, denominato “Cobianchi 1”, lo collaudò sul campo di Montichiari (BS) nel settembre del 1909 in occasione del “ 1° Circuito Aereo Internazionale di Brescia” al quale si era iscritto. La messa a punto non fu facile e gli costò svariati incidenti e costose riparazioni, tant’è che nel 1910 decise di recarsi in Francia per frequentare una scuola di volo regolare ed acquistare un velivolo di serie, un biplano Farman. Rientrato in Italia completò il corso di pilotaggio presso la Scuola di Volo de La Comina, nei pressi di Pordenone, dove il 13 novembre 1910 conseguì il Brevetto di Pilota n.24 dell’aviazione italiana. Da quel momento iniziò a partecipare con il suo Farman alle più importanti manifestazioni aeree nazionali ed internazionali. Mario Cobianchi vola sopra la Torre di Pisa. Era il 22 gennaio 1911 Invitato alle “Gare d’Aviazione di Pisa”, il 22 gennaio 1911 Mario Cobianchi sorvolò per la prima volta la Torre di Pisa. Il giorno successivo, nel portare in volo un illustre passeggero, ebbe tuttavia un incidente che gli procurò la frattura di una gamba ed un periodo di convalescenza presso l’Hotel “Nettuno”. In segno di riconoscenza per quanto realizzato a Pisa, il 2 aprile 1911, nel corso di una affollata cerimonia presso il Regio Teatro “Verdi”, la città volle donargli una medaglia d’oro appositamente coniata per lui. Rimessosi dall’incidente, riprese la sua attività di volo e in quello stesso 1911 partecipò come pilota volontario alla guerra italo-turca operando dalla base aerea di Derna. Nel 1913, su richiesta ufficiale delle locali autorità militari, si recò in Russia per istruire al volo gli ufficiali dello Zar. Dopo un periodo di richiamo alle armi come ufficiale durante la 1a Guerra Mondiale, nel 1917 Cobianchi si trasferì negli Stati Uniti, dove diresse due importanti industrie aeronautiche e dove progettò e collaudò alcuni velivoli. Nel 1919 rientrò in Italia e assunse importanti incarichi a livello ministeriale e diplomatico, recandosi ancora negli Stati Uniti, alla vigilia della 2a Guerra Mondiale, presso la nostra Ambasciata di Washington. Morì prematuramente a Roma il 15 gennaio 1944, a soli 59 anni, colpito da un male incurabile al quale si oppose con tutte le sue forze. Con lui scomparve un autentico pioniere dell’aviazione italiana, ma soprattutto un vero sportman ed un grande aviatore.

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AEROPLANI di Paolo Buzzi. Da Canti Alati

Anch’io ho amato le donne e i cimiteri: la poesia fu gustare i dolci veleni anemici dell’anima lungo le grandi pagine aperte delle lapidi nelle necropoli, tra profumi di viole, di memorie e di gentili chiome rinchiuse che davano pianto agli occhi e rime facili ai pensieri. Ora mi sento un nuovo sole sopra il cuore, un canto stranissimo nel profondo. [...] Si corre. Si sale. Bisogna un canto di corsa bisogna un canto d’ascesa. Presto avremo polmoni di spugna di spazio ed ali di piuma di nube. O uomini d’ieri piantatevi un’asta nel seno! Nata è la razza che vi sorpassa d’un salto di cielo, la razza che come formiche vi schiaccerà! Seguiteci a sommo dei monti e degli aerostati! [...] La vita diventa Vertigine! Volete, o sedentarii, con le sedie, lasciarvi portare allo Zenit?

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PARTENZA D'AEROPLANI
di Umberto Saba

Vanno in su, dove il cielo è azzurro netto,
dove le nubi si vedon di sotto.
Chi resta a terra agita il fazzoletto

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da: TUTTO IL MONDO
di Umberto Saba

Oltre il mare, oltre il monte, del turchino fra le nubi, va l’uomo. Io qui supino le sue ali non bramo. Ozio ha nome il pensoso mio vicino. Lieto in sua cara compagnia m’infamo27




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da: COSE LEGGERE E VAGANTI
di Umberto Saba

Voi lo sapete, amici, ed io lo so Anche i versi somigliano alle bolle Di sapone; una sale e un’altra no.

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da: COSE LEGGERE E VAGANTI
di Umberto Saba

Sognavo, al suol prostrato, un bene antico. Ero a Trieste, nella mia stanzetta. Guardavo in alto rosea nuvoletta Veleggiar, scolorando, il ciel turchino. Ella in aere sfacevasi; al destino suo m’ammonivo in una poesietta. Quindi «Mamma – dicevo - io esco»; e in fretta a leggerla volavo al caro amico. «Che fai, carogna?» E mi destò una mano: e vidi, come al cielo gli occhi apersi, tra fumo e scoppi su noi l’aeroplano. Vidi macerie di case in rovina, correr soldati come in fuga spersi, e lontano lontano la marina

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da: COSE LEGGERE E VAGANTI
di Umberto Saba

Or che ài mutato, e lieto sei, lavoro (qui si sta meglio - pensando - che al fuoco), naufrago ritornato al natio loco guardi a terra e nel ciel quanti aeroplani; l’opera d’una mente, e poi di mani fervere innumerevoli: là un poco due garzoncelli lotteggian per gioco; c’è, tra i pompieri, fin d’Africa un moro! Ridi al vederlo, o giovane operaio! Dici «È la cioccolata» a me rivolto; che una formica in questo formicaio, buon compagno ti sembro, e forse sono. (Sempre una voce sul fragore ascolto, oggi è l’Arte, era un dì ‘Angelo buono).

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da: UN AVIATORE
di Libero Altomare

Oh uomo che bevi a gran sorsi l’azzurro liquido del cielo, mentre t’avventi nel vuoto, come una spada in una guaina di spazio, saettando circoli magici nella tua corsa fatale ch’è insieme inno e danza... [...] uomo, libellula oceanica ascoltami! pur se lontano bianca meteora in funebri sanguigni aloni ravvolta, ascoltami pur se vagabonda tra le fantastiche architetture celesti, dove le stelle sospirano d’odio e d’amore come odalische gelose.– Ti lambiscono, flessuose, le innumeri lingue dei venti o viperine t’insidiano?...- [...] Ascolta l’anima gridare, incandescente come il cuore d’acciaio, del tuo motore che rantola, zirla, singhiozza, strozza ribelle stretta da mani invisibili!... [...] Qual gloria ignota va cercando L’ala?... – Eccola: sale, tentenna come un’antenna ne la tempesta, cala, s’arresta a vellicare il piano e si rimpenna lontano... – E gloria sia! Non canterò l’elegia!

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ARDENGO SOFFICI
Aeroplano

Mulinello di luce nella sterminata freschezza zona elastica della morte Crivello d’oro girandola di vetri venti e colori Si respira il peso grasso del sole Con l’ala aperta W Spezia 37 sulla libertà La terra ah!case parole città Agricoltura e commercio amori lacrime suoni Fiori bevande di fuoco e zucchero Vita sparsa in giro come un bucato Non c’è più che una sfera di cristallo carica di silenzio esplosivo enfin Oggi si vola! C’è un allegria più forte del vino della Rufina con l’etichetta del 1811 E’ il ricordo del nostro indirizzo scritto sul tappeto del mondo La cronaca dei giornali del mattino e della sera Gli amici le amanti e perpetuità il pensiero strascinato nei libri E le mille promesse Cambiali in giro laggiù nella polvere e gli sputi Fino alla bancarotta fraudolenta fatale per tutti Stringo il volante con mano d’aria Premo la valvola con la scarpa di cielo Frrrrrr frrrrrr affogo nel turchino ghimè Mangio triangoli di turchino di mammola Fette d’azzurro Ingollo bocks di turchino cobalto Celeste di lapislazzuli Celeste blu celeste chiaro celestino Blu di Prussia celeste cupo celeste lumiera Mi sprofondo in un imbuto di paradiso Cristo aviatore era fatto per questa ascensione di gloria poetico-militare-sportiva Sugli angoli rettangolari di tela e d’acciaio Il cubo nero è il pensiero del ritorno che cancello con la mia lingua accesa e lo sguardo di gioia Dal bianco quadrante dell’altimetro rotativo Impennamento erotico fra i pavoni reali delle nuvole Capofitto nelle stelle più grandi color rosa Vol planè nello spazio-nulla

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